ROMA - "Altro che evasori, questa moneta serve alle persone normali. Nel mondo digitale stiamo rinunciando alla nostra privacy senza esserne consapevoli". Ha un papà italiano l'ultima arrivata, tra mille polemiche, nel mondo delle valute virtuali. Lo Zcash, che a differenza del Bitcoin garantisce a chi manda e riceve denaro transazioni del tutto anonime, nasce dalle ricerche sulla crittografia di Alessandro Chiesa, 29 anni, varesino, professore di Computer Science all'Università di Berkeley. Ma dall'Italia viene pure la prima ufficiale resistenza a questa tecnologia. Una proposta di legge depositata in Parlamento che vuole vietare tutte le monete anonime, primo di 14 firmatari l'onorevole e informatico Stefano Quintarelli. "Vietare? Non sarebbe realizzabile tecnicamente", risponde Chiesa su Skype in collegamento dalla California. "E poi il problema dell'Italia sono le persone che non fanno scontrini e ricevute, e quelle usano il contante".
Il progetto Zero Cash sta sollevando un bel polverone, come nasce?
"E' la mia tesi di dottorato all'Mit diBoston, dove ho studiato dopo il diploma in Italia. Ho lavoravo insieme ad alcuni colleghi sui cosiddetti sitemi di dimostrazione a conoscenza zero, per superare un grosso problema dei bitcoin".
Quale problema?
"Nelle transazioni in bitcoin tutto è pubblico, lo pseudonimo di chi spedisce il denaro, quello di chi lo riceve e la somma trasferita. Risalire dallo pseudonimo al nome reale è facile. Un grosso problema, perché un conto è che la mia banca sappia i dettagli di un pagamento, un altro che li sappiano tutti. Volevo capire se fosse possibile creare una infrastruttura finanziaria simile, decentrata, ma preservando la privacy".
Si può?
"Con le dimostrazioni a conoscenza zero, appunto. Posso provare che ho determinate informazioni senza rivelarle. In pratica alla rete viene mandata solo una versione della transazione protetta da crittografia. Finita la ricerca, ci siamo accorti che il sistema era molto efficiente e così abbiamo dato mandato a un imprenditore del campo, Zooko Wilcox, di fondare una società, ZCash. La gestisce lui, noi abbiamo delle quote ma agiamo solo dei consulenti".
Perché tanta insistenza sull'anonimato?
"Preferisco la parola privacy. Prima di tutto si tratta di una questione economica. Se ti arriva un dollaro, tu lo puoi usare anche se in passato è stato nelle mani di un trafficante di droga. Solo questo garantisce stabilità a una valuta. Nei bitcoin si può ricostruire tutta la storia delle transazioni e quindi discriminarli, magari a seconda delle idee politiche o religiose di chi li ha posseduti. E qui c'è la questione della privacy: anche se non ho nulla da nascondere, non voglio che il mondo sappia tutto delle mie conversazioni. Lo stesso per i pagamenti".
Il timore però è che a servirsi di questo strumento siano soprattuto i criminali.
"Ci aspettavamo l'obiezione. La verità è che i criminali sanno già come rendersi anonimi, anche con i bitcoin. Noi vogliamo proteggere gli utenti normali che invece non sanno come difendere la privacy. Della nostra tecnologia beneficiano le persone oneste e questo permetterà di allargare l'adozione delle criptomonete".
Molte banche stanno creando le proprie versioni del bitcoin, con archivi contabili non pubblici ma privati. Non risolve il problema?
"Certo, solo che i colossi come JPMorgan o Bank of America possono costruire la loro blockchain, ma poi ci sono le medie banche e le medie imprese, che magari non hanno fondi a sufficienza per un'infrastruttura privata. Ma sulla privacy c'è un ulteriore aspetto: gli utenti possono decidere di dare accesso alle informazioni a terze parti".
Se lo vogliono, ma le autorità possono avere le informazioni se sospettano transazioni sospette?
"Le autorità potranno chiedere accesso ai dati attraverso le normali procedure legali, come già succede per altri dati personali, anche senza l'autorizzazione dell'interessato. Stiamo già parlando con regolatori e banche per capire a quali politiche di controllo siano più interessate. La crittografia è uno strumento molto flessibile".
Intanto però i primi ZCash sono in circolazione, potenzialmente a disposizione di un criminale.
"Per discutere della tecnologia la dovevamo far vedere all'opera. Quanto ai criminali, usano tutti gli strumenti potenti, da Google alle banche offshore. I criminali sono intelligenti e trovano la loro strada, ma grazie a noi nel sistema entreranno molte più persone oneste. Sono convinto che questa tecnologia migliorerà le cose, ho la coscienza a posto".
In Italia c'è già una proposta di legge per vietare le criptovalute anonime come la vostra.
"Ho vista, ma non ci sarebbe nessuno strumento tecnico per implementarla. Anche la Cina vuole oscurare Google, il divieto però è aggirabile".
Non si potrebbe obbligare chi scambia euro con ZCash a tenere un registro dei clienti?
"Va benissimo. Negli Stati Uniti ci sono già norme che impongono ai cambiavalute di conosce i propri clienti. Ma il divieto è pura propaganda, un'esagerazione per fare paura, in stile Trump. Qual è il problema? In Italia sono le persone che non fanno scontrino e ricevuta, e quelle usano il contante".
L'uso del contante si sta cercando, più o meno, di disincentivarlo. E ZCash è una forma 2.0 di denaro contante...
"Un esperimento come ZCash può rimpiazzare il contante? Accanirsi sarebbe un pessimo utilizzo delle risorse del Paese".
Subito dopo il lancio il valore dello ZCash è schizzato a mille dollari. C'è già speculazione sulla moneta? E' anche uno dei problemi del Bitcoin.
"E' una dinamica puramente economica. Nei primi giorni c'erano poche monete sul mercato e altissima domanda, così i prezzi sono saliti. Nel corso dei giorni sono già ridiscesi, man mano che ne venivano create di nuove. In qualche settimana vedremo se si stabilizzeranno".
"Tutte le monete sono create uguali", dice il motto di ZCash. Una dichiarazione di principio? Lei si definisce un libertario?
"Il motto si riferisce prima di tutto all'aspetto economico della fungibilità: ogni moneta è uguale all'altra, come per i dollari. Ma sì, mi interessa la questione della privacy, credo che sia un diritto umano e che nel mondo digitale molte persone la stiano sacrificando in modo pigro. La privacy non deve essere per forza assoluta, ma è molto più facile limitarla quando ce l'hai che recuperarla quando non ce l'hai più".