STABLE COIN LA VIA PER ESSERE LIBERI DAL FALLIMENTO DEL SISTEMA EURO


COINLEX (STEFANO CAPACCIOLI, NOSTRO PARTNER E SOCIO FONDATORE IN ASSOBIT) INTERPRETA LA NOTA DELLA AGENZIA DELLE ENTRATE SUL TRATTAMENTO FISCALE DEL BITCOIN! PRIMO IN ITALIA!

Ris. Min. 72/E – Trattamento fiscale applicabile alle società che svolgono attività di servizi relativi a monete virtuali.

L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la RM 72/E (sotto) prendendo per la prima volta posizione in merito al trattamento tributario delle valute virtuali, a seguito di un interpello presentato da una società che intende eseguire (per conto della propria clientela), operazioni di acquisto e vendita di bitcoin e aveva chiesto:
  1. Corretto trattamento a fini IVA, Ires e Irap
  2. Se in relazione alla predetta attività fosse soggetta ad adempimenti quale sostituto di imposta.
L’Agenzia ha risposto indicando l’esenzione IVA ai sensi dell’art. 10 primo comma nr. 3), in ossequio alla Sentenza C-264/14.
Le questioni problematiche che la RM pone sono:
  1. A fini delle imposte dirette sembra che l’Agenzia li consideri alla stregua di valute straniere (il riferimento all’art. 9 del TUIR) con valutazione a fine anno sulla base del valore corrente, contrariamente a quanto ricostruito sulla base dei principi contabili nazionale e internazionali che non considerano né possono considerare le valute virtuali quale moneta.
  2. Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate tale attività sia assimilabile ai soggetti di cui all’art. 11 comma 2 lettera c) del DPR 231/02 (attività di cambiavalute) e estranei alla normativa del sostituto di imposta.
Orbene, l’assimilazione a valuta estera ai fini delle imposte dirette non è esplicitata chiaramente, ma ciò comporta che ai fini delle imposte dirette per le persone fisiche le eventuali plusvalenze siano redditi diversi di capitale derivanti dall’utilizzo di valute (Art. 67 TUIR  lettera c-ter) le plusvalenze, diverse da quelle di cui alle lettere c) e c-bis), realizzate mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreché siano allo stato grezzo o monetato, e di quote di partecipazione ad organismi d’investimento collettivo. Agli effetti dell’applicazione della presente lettera si considera cessione a titolo oneroso anche il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente;
Ciò comporta difficoltà interpretative e di applicazione  in merito all’art. 67 del TUIR comma  1-ter TUIR che prevede la tassazione delle plusvalenze realizzate a fronte di prelievi di valuta è dovuta solo a condizione che, nell’anno solare, la giacenza complessiva di tutti i depositi e conti correnti in valuta intrattenuti sia superiore a 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi continui (ved. RM 67/E del 6 luglio 2010).
Il secondo punto relativo all’assimilazione quale cambiavalute desta molti dubbi:
  1. L’Agenzia delle Entrate non ha alcun potere interpretativo del D.lgs 231/07 che spetta a Banca d’Italia (che peraltro si è già espressa).
  2. Pur apprezzando la categoria proposta quale cambiavalute (proposta in vari convegni e mie pubblicazioni), le riflessioni sottostanti sono superate dalla proposta di modifica presentata dalla Commissione Europea alla Direttiva AML4: se fosse applicabile la normativa di cui all’art, 11 comma secondo lettera c) quale cambiavalute (previsto nelle Direttiva AML4 come bureau d’exchange, come in quelle precedenti), che senso aveva proporre modifica per introdurre quali soggetti destinatari della normativa Exchanger e Custodian Wallet.
In definitiva lo sforzo dell’Agenzia delle Entrate è positivo ai fini IVA, ma lascia spazi di incertezza  (e posizioni non condivisibili) in merito alle imposte dirette e alla normativa AML.
Stefano Capaccioli


RISOLUZIONE N. 72 /E
ROMA 02/09/2016
OGGETTO:
Interpello ai sensi dell’art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212.
Trattamento fiscale applicabile alle società che svolgono attività di servizi relativi a monete virtuali.
Con l’interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente
QUESITO
La XXX S.r.l. (di seguito, “Società”) vorrebbe svolgere un’attività di servizi relativi alla moneta virtuale denominata “bitcoin”.
In particolare, la Società intende eseguire, per conto della propria clientela, operazioni di acquisto/vendita di bitcoin e, tal fine, ha chiesto di conoscere:
– il corretto trattamento applicabile alle predette operazioni di acquisto e di cessione di moneta virtuale, ai fini dell’Iva e delle imposte dirette (Ires ed Irap);
– se, in relazione alla predetta attività, sia soggetta agli adempimenti in qualità di sostituto d’imposta.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
Con riferimento alla attività di acquisto e vendita di bitcoin effettuata per conto dei propri clienti, la Società ritiene corretto assumere il seguente comportamento:
– ai fini dell’Iva, applicare il regime di esenzione in quanto trattasi di operazioni relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della Direttiva 2006/112/CE;
– ai fini delle imposte dirette, considerare i capital gain (ovvero capital loss) realizzati, ricavi e costi dell’attività caratteristica e, pertanto, farli concorrere, unitamente agli altri costi e ricavi conseguiti, alla determinazione del risultato d’esercizio civilistico e della base imponibile Ires ed Irap. Inoltre, nell’ipotesi in cui la Società detenga in proprio bitcoin a fine esercizio, la stessa sarà obbligata a fornirne adeguata informazione in bilancio, tenendo conto del fair value o valore corrente (come per le valute estere tradizionali). In tale ipotesi, gli utili e le perdite su cambi di natura solo valutativa non assumeranno rilevanza fiscale se non al momento del loro effettivo realizzo;
– non assumere il ruolo di sostituto d’imposta nei confronti della propria clientela e, dunque, non applicare alcuna ritenuta di imposta sulle somme corrisposte ai clienti.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Il bitcoin è una tipologia di moneta “virtuale”, o meglio “criptovaluta”, utilizzata come “moneta” alternativa a quella tradizionale avente corso legale emessa da una Autorità monetaria.
La circolazione dei bitcoin, quale mezzo di pagamento si fonda sull’accettazione volontaria da parte degli operatori del mercato che, sulla base della fiducia, la ricevono come corrispettivo nello scambio di beni e servizi, riconoscendone, quindi, il valore di scambio indipendentemente da un obbligo di legge.
Si tratta, pertanto, di sistema di pagamento decentralizzato, che utilizza una rete di soggetti paritari (peer to peer) non soggetto ad alcuna disciplina regolamentare specifica né ad una Autorità centrale che ne governa la stabilità nella circolazione.
Le criptovalute, inoltre, hanno due ulteriori fondamentali caratteristiche.
In primo luogo, non hanno natura fisica, bensì digitale, essendo create, memorizzate e utilizzate non su supporto fisico bensì su dispositivi elettronici (ad esempio smartphone), nei quali vengono conservate in “portafogli elettronici” (cd. wallet) e sono pertanto liberamente accessibili e trasferibili dal titolare, in possesso delle necessarie credenziali, in qualsiasi momento, senza bisogno dell’intervento di terzi.
In secondo luogo, i bitcoin vengono emessi e funzionano grazie a dei codici crittografici e a dei complessi calcoli algoritmici.
In sostanza, i bitcoin vengono generati grazie alla creazione di algoritmi matematici, tramite un processo di mining (letteralmente “estrazione”) e i soggetti che creano e sviluppano tali algoritmi sono detti miner.
Lo scambio dei predetti codici criptati tra gli utenti (user), operatori sia economici che privati, avviene per mezzo di una applicazione software. Per utilizzare i bitcoin, gli utenti devono entrarne in possesso:
– acquistandoli da altri soggetti in cambio di valuta legale;
– accettandoli come corrispettivo per la vendita di beni o servizi.
Gli user utilizzano le monete virtuali, in alterativa alle valute tradizionali principalmente come mezzo di pagamento per regolare gli scambi di beni e servizi ma anche per fini speculativi attraverso piattaforme on line che consentono lo scambio di bitcoin con altre valute tradizionali sulla base del relativo tasso cambio (ad esempio, è possibile scambiare bitcoin con euro al tasso BTC/EURO).
Con riferimento al trattamento fiscale applicabile alle operazioni relative ai bitcoin e, in generale, alle valute virtuali, non si può prescindere da quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza 22 ottobre 2015, causa C-264/14.
In tale occasione, sebbene agli effetti dell’Iva, la Corte europea ha riconosciuto che le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai propri clienti, costituiscono prestazioni di servizio a titolo oneroso.
Più precisamente, secondo i giudici europei, tali operazioni rientrano tra le operazioni “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/CE.
In assenza di una specifica normativa applicabile al sistema delle monete virtuali, la predetta sentenza della Corte di Giustizia costituisce necessariamente un punto di riferimento sul piano della disciplina fiscale applicabile alle monete virtuali e, nello specifico ai bitcoin.
In ossequio a quanto affermato dai giudici europei, pertanto, si ritiene che l’attività di intermediazione di valute tradizionali con bitcoin, svolta in modo professionale ed abituale, costituisce una attività rilevante oltre agli effetti dell’Iva anche dell’Ires e dell’Irap.
In particolare, ai fini del trattamento Iva, si fa presente che il caso analizzato dai giudici europei (simile a quello descritto nell’istanza in esame), riguarda un soggetto che svolge l’attività di cessione e acquisto di valuta virtuale (bitcoin) in cambio di valuta “tradizionale”. Il compenso per tale attività è determinato in misura pari al margine che scaturisce dalla differenza (ipotizzando il caso di vendita di bitcoin da parte dell’operatore), da un lato, tra il prezzo che il cliente è disposto a pagare per acquistare una unità di moneta virtuale e, dall’altro, la miglior quotazione del bitcoin stesso disponibile sul mercato.
La Corte, al riguardo, stabilisce:
– in primo luogo, che l’attività di commercializzazione di bitcoin deve essere qualificata quale prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso e, inoltre,
– che le prestazioni in esame, pur riguardando operazioni relative a valute non tradizionali (e cioè diverse dalle monete con valore liberatorio in uno o più Paesi), “costituiscono operazioni finanziarie in quanto tali valute siano state accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali e non abbiano altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento”.
Sussistendo tali condizioni, le prestazioni di servizi in esame rientrano nella previsione di esenzione di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/CE. Secondo la Corte, infatti, “risulta …. che un’interpretazione di tale disposizione secondo la quale essa disciplina le operazioni relative alle sole valute tradizionali si risolverebbe nel privarla di parte dei suoi effetti.
Nel procedimento principale, è pacifico che la valuta virtuale «bitcoin» non abbia altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento e che essa sia accettata a tal fine da alcuni operatori.
Conseguentemente, si deve concludere che l’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva Iva disciplina anche le prestazioni di servizi come quelle oggetto del procedimento principale, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti”.
Alla luce di tali principi, si deve ritenere, per quanto concerne il caso illustrato con l’istanza di interpello, che l’attività che la Società intende porre in essere, remunerata attraverso commissioni pari alla differenza tra l’importo corrisposto dal cliente che intende acquistare/vendere bitcoin e la migliore quotazione reperita dalla Società sul mercato, debba essere considerata ai fini Iva quale prestazione di servizi esenti ai sensi dell’articolo 10, primo comma, n. 3), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Coerentemente all’inquadramento giurisprudenziale europeo, ai fini della tassazione diretta, si ritiene che la Società debba assoggettare ad imposizione i componenti di reddito derivanti dalla attività di intermediazione nell’acquisto e vendita di bitcoin, al netto dei relativi costi inerenti a detta attività.
Nella fattispecie in esame, in particolare, operativamente:
– in caso di ordine di acquistare, il cliente anticipa le risorse finanziarie alla Società che, effettuato l’acquisto di bitcoin, provvede a registrare nel wallet (“borsellino”) del cliente i codici relativi ai bitcoin acquistati;
– in caso di ordine di vendere, la Società preleva dal cliente i bitcoin e gli accredita, successivamente al completamento effettivo della vendita, la somma convenuta.
Il guadagno (o la perdita) di competenza della Società è rappresentato dalla differenza tra quanto anticipato dal cliente e quanto speso dalla Società per l’acquisto o tra quanto incassato dalla Società per la vendita e quanto riversato al cliente.
Tale elemento di reddito – derivante dalla differenza (positiva o negativa) tra prezzi di acquisto sostenuti dall’istante e costi di acquisto a cui si è impegnato il cliente (nel caso in cui quest’ultimo abbia affidato alla Società l’incarico a comprare) o tra prezzi di vendita praticati dall’istante e ricavi di vendita garantiti al cliente (nel caso di affidamento di incarico a vendere) – è ascrivibile ai ricavi (o ai costi) caratteristici di esercizio dell’attività di intermediazione esercitata e, pertanto, contribuiscono quali elementi positivi (o negativi) alla formazione della materia imponibile soggetta ad ordinaria tassazione ai fini Ires (ed Irap).
Con riferimento, ai bitcoin che a fine esercizio sono nella disponibilità (a titolo di proprietà) della Società si ritiene che gli stessi debbano essere valutati secondo il cambio in vigore alla data di chiusura dell’esercizio e tale valutazione assume rilievo ai fini fiscali ai sensi dell’articolo 9 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir). Occorre, quindi, far riferimento al valore normale, intendendosi per tale il valore corrispondente alla quotazione degli stessi bitcoin al termine dell’esercizio.
A tal fine potrebbe ben farsi riferimento alla media delle quotazioni ufficiali rinvenibili sulle piattaforme on line in cui avvengono le compravendite di bitcoin.
Per quanto riguarda, la tassazione ai fini delle imposte sul reddito dei clienti della Società, persone fisiche che detengono i bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa, si ricorda che le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa.
La Società, pertanto, non è tenuta ad alcun adempimento come sostituto d’imposta.
Resta inteso, che l’Amministrazione Finanziaria ha facoltà, in sede di controllo, di acquisire le liste della clientela al fine di porre in essere le opportune verifiche anche a seguito di richieste da parte della Autorità giudiziaria.
Da ultimo, si ritiene che la Società istante, intenzionata ad esercitare professionalmente l’attività di negoziazione a pronti di valuta, sia assimilabile ai soggetti di cui all’articolo 11, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231.
Pertanto, l’istante sarà tenuta agli obblighi di adeguata verifica della clientela, di registrazione nonché di segnalazione ai sensi del medesimo decreto legislativo n. 231 del 2007.
Le Direzioni regionali vigileranno affinché i principi enunciati e le istruzioni fornite con la presente risoluzione vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.
IL DIRETTORE CENTRALE

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Non la pensano come mercato libero http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2016/09/03/mpssondaggio-ansa-65-manager-non-sottoscriverebbe-aumento_ce462c8c-b72c-424f-9e28-ccbd8e6b1c38.html