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DITE A KRUGMAN CHE E' UNA GRANDE TESTA DI CAZZO ...FIRMATO MERCATO LIBERO

L’importanza dell’eredità spiegata a Paul Krugman

DITE A KRUGMAN CHE E' UNA GRANDE TESTA DI CAZZO ...FIRMATO MERCATO LIBERO


Per Paul Krugman, l’idea di colpire ferocemente i patrimoni e le ricchezze ereditarie non è poi cosí peregrina. In un recente articolo, infatti, il premio Nobel per l’economia ha replicato a Greg Mankiw, professore a Harvard, il quale sul New York Times aveva difeso l’importanza della trasmissione intergenerazionale della ricchezza. Secondo Krugman, si potrebbero ottenere benefíci di gran lunga superiori se lo Stato sottraesse i patrimoni alla libera disponibilità dei proprietari per destinarli a una grande opera di ridistribuzione.
Seguendo questo ragionamento, tuttavia, scompare (o quantomeno s’attenua molto) quella legittimazione della ricchezza ereditata che, dal diritto romano in avanti, ha contraddistinto gli ordinamenti giuridici occidentali. Ad esempio, le affermazioni di Krugman svuotano di senso la Costituzione italiana, la quale — nonostante gli eccessi ideologici che la caratterizzano — riconosce al comma 4 dell’articolo 42 la legittimità della ricchezza ereditata (e non solo di quella guadagnata). Un discorso analogo si potrebbe fare per quel che riguarda il presidente americano Thomas Jefferson, che tra i suoi primi provvedimenti decise proprio l’abolizione della tassa di successione voluta dal suo predecessore Adams.
In questo senso, le parole di Krugman sono lo specchio fedele d’un quadro preoccupante. Il diritto successorio rappresenta, fin dagli albori, una garanzia e un pieno riconoscimento della proprietà privata: l’eredità certifica in un certo senso un legame tra la persona e i suoi beni che neanche la morte può spezzare. Da questo punto di vista, la richiesta d’un accanimento fiscale nei confronti delle ricchezze ereditarie s’inserisce all’interno di quell’aggressione politica e giuridica che il diritto di proprietà subisce da piú d’un secolo. Lo ius utendi et abutendi re sua — come il brocardo latino definisce il diritto di disporre di ciò che ci appartiene — cede sempre piú il passo a ragionamenti di stampo collettivista, che piegano la legittima pretesa dell’individuo di fronte a ogni sorta d’interesse collettivo.
Ma, anche scendendo al livello dialettico proposto da Krugman, non si comprendono le ragioni che dovrebbero portare il fisco ad accanirsi nei confronti dei patrimoni ereditati. Mankiw descrive molto bene l’impatto positivo che la successione intergenerazionale della ricchezza ha sull’economia: ad esempio, il risparmio lasciato ai discendenti permette l’accumulazione di capitale, che potrà servire per avviare investimenti e creare occupazione. Ciò nonostante, Krugman sostiene che i benefíci sarebbero ben piú numerosi se lo Stato sottraesse gran parte di quella ricchezza per destinarla a una serie d’interventi di ridistribuzione. Tra l’altro, Krugman non ritiene che un intervento di questo tipo scoraggi in modo rilevante l’accumulazione del risparmio.
Già il buonsenso suggerisce che qualcosa non torna, in questo ragionamento. Krugman sembra pensare che un gruppo di politici e burocrati sia in grado di gestire meglio la ricchezza di chi ha contribuito a realizzarla lungo il corso di tutta una vita. Non solo: egli sembra pensare che le persone faranno di tutto per accumulare la maggior quantità di ricchezza possibile per lasciarla poi in eredità a qualche funzionario statale. Anche solo «epidermicamente», dunque, le affermazioni di Krugman manifestano un certo grado di presunzione e uno sconcertante livello d’ingenuità.
Ma è andando in profondità che emerge tutta l’inconsistenza della tesi di Krugman. Nel suo ragionamento è assente, ad esempio, qualsiasi riferimento alle preferenze temporali. L’azione umana si colloca all’interno d’un arco temporale e, di solito, gl’individui tendono a prediligere i beni presenti a quelli futuri. Perché questa preferenza si modifichi, è necessario che ci siano degl’incentivi: ad esempio, il tasso d’interesse nei prestiti. All’interno del vivere sociale, l’incentivo piú forte a fare scelte oculate in vista del futuro e a non consumare tutto nel presente è la famiglia, che l’economista Joseph Schumpeter indicò, non a caso, come la molla del risparmio.
Se s’elimina la possibilità di lasciare alla propria famiglia i frutti del lavoro d’una vita, s’apre la strada a comportamenti economici individuali molto diversi da quelli attuali. Anzitutto, vedremmo aumentare considerevolmente il numero di donazioni in vita tra familiari — svuotando, di fatto, il bacino delle eredità dal quale il fisco dovrebbe attingere. A quel punto lo Stato, per non rimanere con un pugno di mosche in mano, dovrebbe rivedere la tassazione anche sulle donazioni, e dovrebbe mettere a punto un complesso ed estremamente oneroso sistema di controllo per limitare i fenomeni d’evasione ed elusione, che con molta probabilità aumenterebbero.
Tuttavia, il rischio maggiore è che la perdita dell’incentivo piú importante a risparmiare conduca a una propensione alla spesa e al consumo nel presente. Ciò produrrebbe una cattiva allocazione del risparmio e del capitale, che si riverserebbe sull’intera struttura produttiva. Se è vero che gran parte della ricchezza d’un Paese sta nella corretta allocazione del capitale e nel finanziamento d’investimenti economicamente sostenibili e profittevoli, una tassa di quel tipo sui patrimoni distorcerebbe ogni segnale economico e produrrebbe gravi conseguenze di lungo periodo.
In fondo, il problema all’interno del ragionamento di Krugman non è che l’ennesima riproposizione della diatriba tra i sostenitori dei benefíci a breve periodo e chi invece si preoccupa degli effetti a lungo termine. Se togliamo la ricchezza a Cesare per darla a Tizio, Caio e Sempronio, possiamo trovare tutti i benefíci e i beneficiari che vogliamo: chi non vorrebbe godere dei frutti del lavoro altrui? Ma tutto ciò ha un costo: quell’opera di ridistribuzione porterà a gravi conseguenze prima o poi, e a farne le spese saranno proprio i piú deboli, coloro che l’intervento precedente aveva cercato di tutelare.
Krugman passa poi alle ragioni politiche che dovrebbero indurre a un intervento fiscale sulle ricchezze. Egli sostiene che l’accumulazione d’ingenti patrimoni ha permesso a pochissimi d’incidere sulle decisioni del governo. Krugman parla di «distorsioni politiche» che stanno «minando alla base la democrazia» — e ha perfettamente ragione. Tante volte, anche su queste pagine, abbiamo descritto il cortocircuito creatosi tra il potere politico e l’azione d’alcune corporazioni (il cosiddetto capitalismo clientelare). Ciò che sconcerta è che Krugman, nonostante sia conscio di questa situazione, voglia affidare le ricchezze dei cittadini a politici e burocrati, col rischio ch’essi dividano il bottino con le proprie clientele.
Tuttavia, l’errore vero è quello di confondere la causa coll’effetto. Krugman pensa che, impoverendo le grandi dinastie familiari, esse avranno meno voce in capitolo nelle decisioni pubbliche. Ma ciò che dovremmo domandarci è perché cosí tanti «poteri forti» siano interessati a ciò che fa il potere politico. L’amara risposta è che tutto nasce dall’incremento del potere arbitrario in mano al regolatore, che negli anni ha assunto sempre piú peso all’interno del gioco tra privati. Se i politici non avessero gli strumenti per assecondare le richieste e i privilegi delle famiglie ricche, queste non avrebbero alcun motivo per interessarsi della cosa pubblica.
Il nostro problema in questo momento non è certo quello d’impoverire chi ha di piú; semmai, cercare di garantire condizioni economiche utili alla creazione di ricchezza. In questo senso, l’idea di tassare oltremisura i patrimoni e le ricchezze ereditarie è solo controproducente, oltreché lesiva d’una tradizione giuridica millenaria. E poi, con tutta sincerità, può essere veramente una «tassa» a risolvere problemi cosí complessi?

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1 commento:

Anonimo ha detto...

e' un discorso qualitativo. Il problema è quantificare. Negli USA l'1% della popolazione ha il 90% della ricchezza. qualcosa si può anche togliere all'eredità, ma quanto ?
forse l'attuale sistema italiano è abbastanza equilibrato.