OPERAZIONE VERITA': A CHE PUNTO E' LA NOTTE ITALIANA
PARTECIPO MOLTO VOLENTIERI ALLA DIVULGAZIONE IN RETE DI QUESTO ARTICOLO FRUTTO DI DURO LAVORO DI UN PAIO DI AMICI BLOGGER.
HO LETTO CON ATTENZIONE E APPREZZO L'ENORME MOLE DI LAVORO. VORREI FARE ALCUNE PRECISAZIONI PER I MIEI LETTORI
1) MERCATO LIBERO DA ANNI HA AVVISATO PER TEMPO DEL DISASTRO IN ARRIVO E NON SOLO..UNICO NEL PANORAMA ITALIANO PROPONE ALTERNATIVE PER LA PROTEZIONE DEI RISPARMI, DEL LAVORO DELLA FAMIGLIA. AIUTA LE PERSONE NELLA VALUTAZIONE DELLA DELOCALIZZAZIONE A TUTTI I LIVELLI,
2) IN ITALIA MOLTI ASSETS, SONO A SCONTO RISPETTO A TANTI E TANTI PAESI NEL MONDO ..COSI' COME LA MANO D'OPERA ORAMAI COSTA POCO (INTORNO AI 500 EURO LA MESE)..I NUOVI SCHIAVI AIUTANO IL SISTEMA A RIEMERGERE.
PIU' LE PERSONE, I CITTADINI VERRANNO SCHIACCIATI, PIU' ACCETTERANNO DI VIVERE IN UN SISTEMA SENZA CRECITA E SENZA SPERANZA...PIU' LA GRANDE IMPRESA E LA DITTATUTA EUROPEA POTRA' CONTROLLARLI E FAVORIRE I GRANDI CAPITALI DI BANCHE E MULTINAZIONALI.
3) MERCATO LIBERO RITIENE CHE OPERAZIONI DI INVESTIMENTO IN TERRA SPAGNOLA NON SIANO ESENTI DA RISCHI MA....LA SPAGNA E' PIU' ORGANIZZATA E MENO PROBLEMATICVA DELL'ITALIA E SICURAMENTE SI COMPRA OGGI A PREZZI MOLTO PIU' BASSI CHE ANNI FA MENTRE IN ALTRE LOCATION OGGI ALLA MODA SI COMPRA A PREZZI PIU' ALTI CHE ANNI FA...
INSOMMA..VA BENE ESERE PESSIMISTI O REALISTI..MA SI DEVE TENER PRESENTE CHE SE IL MONDO VA AVANTI E' MEGLIO FOCALIZZARSI SU ASSETS REALI, IN BELLE LOCATION CHE COSTANO POCO CHE ASSETS IN PAESI CHE SONO GIA' CARI E ATTIRANO DA ANNI L'APPETITO DEGLI I NVESTITORI....PRIMA O DOPO QUALCUNO RIMANE CON IL CERINO IN MANO.
ORA VI LASCIO A QUEST'ARTICOLO SUI VERI CONTI DELL'ITALIA..RICORDANDO CHE BASTEREBBE PORTARE LO SPREAD SOTTO I 100 PUNTI BASE, FARE UN A PATRIMONIALE UNA TANTUM DI 100 MILIARDI E IMPOSTARE UNA TASSA DI SUCCESSIONE SENZA FRANCHIGIA PARI AL 30% DEL VALORE EREDITARIO PER RIMETTERE IN SESTO IL PAESE DIROTTANDO IL RICAVATO IN MINORI TASE E RIDUZIONE DEL DEBITO PUBBLICO....
A QUEL PUNTO GLI ASSETS DEL PAESE DIVERREBBERO PIU' ATTRAENTI..GLI ESTERI COMPREREBBEO A MANI BASSE FACENDO SALIRE I PREZZI DEGLI IMMOBILI E L'ITALIOTA SAREBBE DECISAMENTE PIU' POVERO..
IN ITALIA SI PUO' INVESTIRE MA DA ESTERO..NON DA ITALIANO...COME PIU' VOLTE HO RICORDATO ED E' PER QUSTO CHE ANDIAMO IN SPAGNA (oltre che a Berlino, crasile, dubai panama ecc ecc)
Premessa:
In questi anni di crisi, oltre alle tasse e al disagio economico e
sociale, c’è stata un’altra grande costante che ha tenuto compagnia alle
nostre giornate, ai nostri momenti: la menzogna proferita in modo
sistematico dai vari governi e dai politici di turno che, in maniera
spudorata e vergognosa, hanno reiteratamente mentito e mistificato (e
continuano a farlo) circa l’esatta situazione dell’economia e dei conti
pubblici, in costante ed inesorabile deterioramento.
È’ chiaro che tutto ciò incorpora evidenti elementi di criminalità, proprio perché tende ad alimentare false aspettative nei confronti degli agenti economici più deboli: i disoccupati con le loro famiglie e le imprese, prime vittime sacrificali di questa crisi.
Proprio per questo, insieme ad altri siti amici, tra i più seguiti in Italia di economia, tutti liberi e senza padroni, abbiamo pensato di lanciare, coralmente, tutti insieme, questo post divulgativo al fine di far ben comprendere l’esatto stato dei conti pubblici e dell’economia.
È’ chiaro che tutto ciò incorpora evidenti elementi di criminalità, proprio perché tende ad alimentare false aspettative nei confronti degli agenti economici più deboli: i disoccupati con le loro famiglie e le imprese, prime vittime sacrificali di questa crisi.
Proprio per questo, insieme ad altri siti amici, tra i più seguiti in Italia di economia, tutti liberi e senza padroni, abbiamo pensato di lanciare, coralmente, tutti insieme, questo post divulgativo al fine di far ben comprendere l’esatto stato dei conti pubblici e dell’economia.
LA MENZOGNA
I grafici che seguono esplicano in maniera esaustiva i clamorosi
errori previsionali commessi dai vari governi che si sono alternati
negli ultimi 3 anni di cirsi, su Deficit Pubblico, Debito pubblico e Pil
Nominale.
Come
noto, appena qualche di settimane fa, il governo ha reso pubblica la
Nota di Aggiornamento al DEF. Per chi non lo sapesse, il DEF è il
documento di economia e finanza che rappresenta il punto nodale nella
programmazione della politica economica e di bilancio del paese. Il
punto d’incontro tra politica nazionale e l’Unione Europea, che
incorpora le variabili macroeconomiche e di bilancio che il governo
stima si possano realizzare, stante una crescita presunta del PIL.
Leggendo il documento licenziato dal governo, la cosa che più lascia
perplessi, è dover constatare la volgarità della menzogna esercitata dal
governo, proprio su talune variabili che risultano manifestamente
abbellite, taroccate, per nulla aderenti con la realtà dei fatti, con
l’esatta situazione dell’economia italiana e dei conti pubblici. Questi
ultimi, appositamente “massaggiati” per offrire un quadro della finanza
pubblica migliore rispetto a quello che effettivamente è.
Cerchiamo di andare nel dettaglio.
LA MENZOGNA SUI CONTI PUBBLICI
La nota licenziata dal Governo, rispetto al DEF di primavera, con la
fine dell’anno ormai alle porte, recepisce ciò che era ormai chiaro da
mesi, più o meno a tutti i commentatori di buon senso. Ossia che il Pil,
anche quest’anno, diminuirà dell’1.7%(?), posizionandosi a 1.557,3
miliardi di euro, quindi ben oltre l’1.3% previsto solo a maggio dal
governo Monti.
Sul fronte della spesa pubblica, il governo, proprio con
CONTINUA A LEGGERE
l’intento di
esporre un deficit migliore rispetto a quello reale, da un lato ha
aumentato di un miliardo di euro la spesa corrente (pensioni, stipendi,
acquisti); mentre, dall’altro, ha corretto al ribasso la stima della
spesa in conto capitale portandola a 807,6 miliardi rispetto agli 810, 6
precedentemente previsti: quindi, 3 miliardi in meno di spese che
aiuterebbero (secondo il governo) a far rientrare sotto il 3% lo
sconfinamento deficit/Pil.
Ma entrando nel dettaglio del DEF, si scopre che questo (apparente) miglioramento, è determinato da artifici contabili,
per cui si differiscono all’anno successivo (cioè al 2014) talune
spese in conto capitale originariamente previste nel 2013, nonostante
la spesa per investimenti sia stata fortemente ridotta in questi ultimi
anni proprio per esigenze di bilancio, non considerando che questa
determina anche delle manifestazioni virtuose per il ciclo economico.
E’ ovvio che, se cossi fosse, questa pratica andrà ad impattare sul
fabbisogno del prossimo anno.
Ciò nonostante, analizzando le spese della amministrazioni pubbliche e
proiettando al 31 dicembre il consuntivo realizzato nei primi sette
mesi dell’anno -dove sono cresciute dell’1.8% rispetto allo stesso
periodo del 2012- si osserva che queste, a fine anno, dovrebbero
aggirarsi intorno ai 678.5 miliardi di euro: cioè 6 miliardi in più
rispetto ai valori rettificati dal governo nella nota di aggiornamento.
Sul fronte delle entrate, a causa dell’aleatorietà dei pagamenti da
parte degli agenti economici, la questione è molto più difficile da
interpretare. Anche se i dati disponibili delle entrate tributarie, per i
primi 8 mesi dell’anno, registrano una diminuzione dello 0.3% rispetto
allo stesso periodo del 2012.
Le entrate contributive, invece, secondo quanto comunicato dalla
Ragioneria Generale dello Stato, nei primi sette mesi dell’anno, si sono
attestate a circa 124 miliardi di euro, in flessione dello 0.9%
rispetto allo stesso periodo del 2012.
Proiettando a tutto il 2013 i dati sulle entrate tributarie e
contributive realizzate nei primi 9 mesi, dando per certa una copertura
del taglio della seconda rata dell’IMU -in parte assorbito anche dal
recente aumento IVA- e, in via del tutto prudenziale, ipotizzando
comunque un miglioramento dell’andamento delle entrate, è verosimile
ritenere, a fine anno, un minor gettito che oscilli tra +0,1 e +0,4%
per le entrate del 2013 sul 2012, ad un valore tra 755 e 757 miliardi di
Euro, contro 759 preventivati, con un ammanco tra 2,0 e 4,0 miliardi.
Quindi in estrema sintesi, alla luce di quanto sopra esposto, si
potrebbe ritenere del tutto verosimile un deficit, a fine anno,
oscillante tra il 3.4% e il 3.6%, cioè dai 4 ai 6 miliardi in più
rispetto ai 48.7 miliardi stimati dal governo nella nota di
aggiornamento, con un debito pubblico prossimo al 134% contro li stima
del governo al 132,9
In buona sostanza, è questo il quadro di finanza pubblica che, con
ogni probabilità, ci attenderà da qui a fine anno, salvo ulteriori
manovre correttive o giochi di prestigio per esporre un deficit
inferiore al 3%. Ma in uno scenario come quello descritto, nel quale si
balla proprio ai limiti, nonostante la manovra di contenimento di 1.6
miliardi di euro varata lo scorso 10 ottobre, molto dipenderà dalla
crescita economica dell’ultima parte dell’anno e dalle entrate
tributarie degli ultimi mesi, anche se, a parer di chi scrive, i margini di ottimismo sembrano piuttosto ridotti, se non addirittura inesistenti.
COME TAROCCARE LE PREVISIONI SULLA SPESA PER INTERESSI
Ma andando oltre, sempre nel DEF, e sempre a proposito
dell’inattendibilità delle stime governative, si scopre che, sul fronte
della stima della spesa per interessi, il tandem Letta-Saccomanni,
compiono una vera e propria manovra di prestigio, degna di Mago Otelma.
Tanto per renderci conto di cosa stiamo parlando, vi propongo questa
tabella che riepiloga la stima della spesa per interessi dal 2014 al
2017: sulla prima riga quella effettuata dal Governo Monti, sulla
seconda quella del Governo Letta con la nota di aggiornamento al DEF.
Stima Spesa per interessi Gov. Monti vs Gov. Letta . (dati in migliaia di euro) | ||||
2014 | 2015 | 2016 | 2017 | |
Def . Maggio 2013- MONTI | 90377 | 97465 | 104384 | 109289 |
Agg. Def settembre- LETTA | 86087 | 88827 | 91858 | 92500 |
RISPARMIO | 4290 | 8638 | 12526 | 16789 |
Come è facile intuire, già dal 2014, fino ad arrivare al 2017, il
governo Letta stima un robusto e progressivo risparmio per la spesa per
interessi, fino a giungere, nel 2017, appunto, a oltre 16 miliardi di
euro, equivalenti ad 1 punto percentuale del Pil. E’ chiaro che queste
presunte economie determinano un miglioramento dei saldi di finanza
pubblica.
A questo punto occorrerebbe chiedersi perché il governo stimi una
riduzione così significativa del costo per interessi, o secondo quale
parametro. Prima di dare una risposta all’interrogativo, è bene
precisare che, come giustamente segnala il Prof. Gustavo Piga nel suo
blog, ormai da oltre 15 anni a questa parte, o meglio fino all’ultimo
DEF dello scorso maggio, le previsioni di stima della spesa per
interessi venivano “formulate utilizzando i tassi impliciti nella curva dei rendimenti italiana rilevati a metà marzo 2013….”. In
buona sostanza si tratta(va) di un criterio riconosciuto dalla comunità
scientifica e finanziaria, che traeva fondamento proprio dall’analisi
della curva dei tassi in un determinato periodo temporale.
Con la nota di aggiornamento, il governo cambia paradigma. Infatti,
sul documento, la stima della spesa per interessi fonda la sua
previsione su una “ipotetica e una graduale chiusura degli spread di
rendimento a dieci anni dei titoli di stato italiani rispetto a quelli
tedeschi a 200 punti base nel 2014, 150 nel 2015 e 100 nel 2016 e 2017”.
Cioè, per dirla in parole più semplici, il costo degli interessi
sarebbe destinato a scendere in ragione di una ipotetica diminuzione
degli spread.
Siamo quasi al demenziale o, se preferite, al dilettantismo, poiché,
un analisi di questo genere, è priva di qualsiasi fondamento, non solo
scientifico, ma anche logico. Invero, va precisato che un calo dello
spread non significa automaticamente una diminuzione dei costi al
servizio del debito (interessi). Infatti, lo spread, altro non è che una
variabile che misura la differenza tra il rendimento Btp decennale e
quello del bund tedesco: anche quest’ultimo soggetto a variare in
ragione di una moltitudine di variabili economiche e di mercato.
Ne consegue, in maniera peraltro del tutto ovvia, che se diminuisce
lo spread, ma al tempo stesso aumenta il rendimento del bund, l’aumento
del titolo tedesco vanifica in tutto o in parte il beneficio prodotto
dal ripiegamento dello spread . Da ciò se ne deduce che se ad un
eventuale aumento del rendimento del Bund, non si contrappone un calo
più che proporzionale dello spread, il costo del debito aumenta anziché
diminuire. Questo, banalmente, per significarvi che la stima fatta dal
governo per quantificare la spesa per gli interessi, oltre ad essere
infondata nel metodo, lo è anche logicamente.
Detto ciò, con ogni probabilità, ciò che induce il governo a ritenere
un ripiegamento dello spread nei confronti del titolo tedesco,
verosimilmente, risiede proprio nelle previsioni di crescita del PIL,
dal 2014 al 2017, a parer di chi scrive, fin troppo ottimiste, o meglio non realizzabili.
Il perché dovrebbe esser chiaro. Infatti tanto più la crescita si
dimostrerà (almeno sulla carta) vigorosa, tanto più i conti pubblici si
stabilizzeranno verso sentieri di maggiore sostenibilità (sempre sulla
carta) e, di conseguenza, aumenterà anche la fiducia degli investitori
nei titoli del debito pubblico, determinando anche un ripiegamento dello
spread, magari allineandosi (??) alle previsioni elaborate dal governo
nel DEF. Quindi, un rientro dello spread a 100 punti base, in ragione
della crescita esponenziale del PIL esposta nel DEF, potrebbe essere
verosimile. Ma ciò che non lo è, sono le previsioni sul PIL.
A PROPOSITO DELLE PREVISIONI FANTASIOSE SULLA CRESCITA
Ecco, il punto è proprio la crescita economica.
E’ proprio qui che il governo commette una vera e propria indecenza,
proiettando stime che, non senza difficoltà e fantasia, potrebbero
semmai essere ospitate nel libro dei sogni, nonostante, nel corso degli
ultimi 14 anni ed oltre, il PIL dell’Italia sia cresciuto mediamente ad
un livello ben inferiore (oltre 1%) rispetto alla media UE27.
Ad ogni buon conto, la Nota di Aggiornamento al DEF si fonda su una
dinamica di tassi di crescita del Pil dal 2014 al 2017 decisamente
ottimista:
- 2014 +1,0%;
- 2015 +1,7%;
- 2016 +1.8%;
- 2017 +1.9%.
Cioè, una crescita molto più robusta di quella mediamente prodotta
negli ultimi 13/15 anni, ascrivibile, secondo il DEF, all’impatto
(positivo) che dovrebbe produrre le riforme varate dai governi negli
ultimi anni. Che poi, quali sarebbero queste riforme, sfugge del tutto.
In pratica, una crescita ben superiore a quella prevista da altre
istituzioni finanziarie internazionali (es FMI) che appaiono comunque
fuori dalla portata dell’Italia, almeno nel contesto che andremo tra poco a chiarire.
E’ chiaro che gonfiare ad arte una previsione di crescita per i
prossimi anni, in visione prospettica, rende il quadro di sostenibilità
delle finanze pubbliche assai più roseo rispetto a quello che altrimenti
sarebbe. Per il semplice fatto che, ampliare la base imponibile
(maggiore PIL), ha come ovvia conseguenza anche un aumento delle entrate
fiscali, determinando un miglioramento dei deficit, senza che ciò
derivi da un inasprimento delle aliquote.
E questo favorirebbe anche un maggior interesse nell’acquisto del
debito italiano anche da parte degli investitori, che comunque sanno (o
meglio dovrebbero sapere) che si tratta di previsioni di crescita del
tutto irrealizzabili. Anche perché, se fosse lo stesso governo a
disegnare una quadro di sostenibilità delle finanze pubbliche a tinte
fosche (cioè più verosimile alla realtà), chi mai avrebbe interesse ad
investire sul debito pubblico italiano, se non con un rendimento che
incorpori anche un maggior premio di rischio?
Quindi, banchieri compiacenti, ancorché conoscano (o quantomeno lo
sospettino) che i dati sulla crescita siano del tutto inverosimili,
acquistano ugualmente il debito pubblico. Perché sanno che il governo,
all’occorrenza e in caso di necessità, in virtù dell’autorità che ha di
imporre tasse -nelle forme più fantasiose possibili, patrimoniali
comprese- sarà sempre disponibile ad intermediare ricchezza (quella
degli italiani, nello specifico)e ripagare il debito nei confronti degli
investitori.
Ma siccome il Governo ben conosce che i dati sono del tutto
dissociati dalla realtà e che si tratta di ipotesi irrealizzabili,
destinate a naufragare aprendo buchi nel bilancio dello stato, anticipa
gli eventi. Quindi vara una nuova manovra in modo che, quando ci si
accorgerà del naufragio delle previsioni di crescita, tutto sarà già più
o meno sotto controllo. Perché, è chiaro: le clausole di salvaguardia
servono proprio a questo. Salvo ulteriori manovre e quindi altre tasse.
Ed è quello che, in buona sostanza, è stato fatto nei giorni scorsi
varando la Legge di Stabilità, della quale parleremo più diffusamente in
prossimo articolo.
Ma tornando al fattore crescita economica, vorrei proporvi un breve
ragionamento, di buon senso, per farvi ben comprendere quanto siano
infondate le previsioni di crescita formulate dal governo. Ragionamento
che, per certi versi, esula dalla solita prospettiva approcciata dagli
economisti su tali tipi di analisi. Nulla di complesso e particolarmente
difficile.
Per comprende di cosa stiamo parlando, è bene fare un breve excursus
su ciò che è stata la crescita italiana negli ultimi 13 anni, ossia
dall’introduzione dell’euro. Ragioneremo in termini nominali. Cioè non
considerando l’effetto inflazione che si è manifestata nel periodo
considerato e che, comunque, giova ricordare, è stata di circa il 30%
dal 2000 al 2013.
Come è facile osservare, in tutto il periodo considerato, l’Italia è
cresciuta in maniera del tutto asfittica: certamente non in sintonia con
le proprie necessità, e, mediamente, come evidenziato in precedenza,
ben oltre un punto percentuale annuo in meno rispetto alla media dei
pausi UE27. Nel frattempo, il debito italiano ha conosciuto ritmi di
crescita molto più sostenuti, con una drammatica accelerazione proprio
dal 2008 in poi. Ossia con l’esplosione della crisi che ha determinato,
ad esempio, un maggior esborso da parte dello Stato per sussidi di
disoccupazione, o per la partecipazione ai vari piani di salvataggio
condotti nel cotesto europeo.
Tant’è che, dal 2000 in avanti, il debito pubblico non è mai sceso
sotto il 103% del Pil -quando i parametri di Maastricht lo vorrebbero
confinato al 60% del prodotto lordo- con un’accelerazione vertiginosa
proprio nell’ultimo quinquennio.
Fino a giungere, alla fine del 2013, a ridosso del 134% del Pil.
Circa 2090 miliardi di euro, a fronte dei un PIl appena sopra ai 1550
miliardi di euro.
Tanto per offrirvi l’idea dell’accelerazione subita dal debito
pubblico, giova ricordare che, da fine 2011 ad oggi, il debito è
cresciuto di circa 170 miliardi, ossia oltre l’8% dello stock totale.
Arrivati a questo punto, è il caso di ricordare che dal 2015,
l’Italia, in applicazione del Fiscal Compact, per i prossimi 20 anni,
dovrà procedere ad una riduzione del debito pubblico di 1/20 all’anno in
ragione del PIl, al fine di confinare il debito entro il 60% imposto da
Maastricht. Per sostenere l’abbattimento del debito pubblico in un
percorso così impegnativo, la condizione necessaria è che il PIL
nominale cresca di almeno il 3% per i prossimi 20 anni. In modo tale che
-confida il governo- una volta stabilizzato, il debito possa rientrare
in maniera quasi automatica. Questa condizione imprescindibile, benché
sulle previsioni del governo sia soddisfatta, appare del tutto
irrealizzabile, almeno per i prossimi anni.
Ritornando alla dinamica del PIl dal 2000 in avanti, giova segnalare
che questo è passato dai 1191 miliardi dell’anno 2000, fino ai 1567
miliardi del 2008. Per poi flettere ai 1520 miliardi con la recessione
del 2009, e riprendersi nel 2011, fino a giungere ai 1580 miliardi e per
poi flettere nuovamente nel 2012 e 2013, fino ad attestarsi, secondo le
stime DEF, ai 1557 miliardi del 2013. Da ciò se ne deduce che il PIl,
negli ultimi 14 anni (comprendendo anche in dato del 2013, indicato nel
DEF a 1557 miliardi) è cresciuto di appena 366 miliardi di euro
nominali: ossia solo del 30.74%, appena poco sopra il livello di
inflazione cumulata nello stesso periodo. Ossia, non è cresciuto in
termini reali.
Secondo le previsioni riportate nel DEF , già dal 2014, il Pil salirà
a 1602 miliardi, per poi passare a 1660 nel 2014, 1718 nel 2016 e 1779
nel 2017.
Cioè ben 222 miliardi in più rispetto ai livelli di fine 2013 (quasi
il 15% in più), che rappresentano circa il 60% della crescita realizzata
negli ultimi 13 anni. Tutto questo è riscontrabile dal grafico (1)
sopra esposto, dove dal 2014 in poi, secondo le previsioni del DEF, si
assiste ad un irripidimento della curva del PIL nominale, che incorpora
tassi di crescita medi nel quadriennio di oltre il 3% annuo.
A questo banale ragionamento, si potrebbe obiettare che è
sostanzialmente insensato paragonare la crescita del PIL nominale in due
periodi temporali differenti, senza considerare gli effetti inflattivi
acquisiti, che hanno comunque contribuito ad una maggiore crescita dal
PIL nominale. Vero: osservazione ineccepibile. Ma che non cambia di
molto le previsioni troppo ottimistiche fatte dal governo, atteso che le
previsioni sull’inflazione sembrano anch’esse fuori dalla realtà,
stante anche la persistente debolezza dei consumi che si protrarrà anche
nei prossimi anni, spingendo al ribasso anche le previsioni
sull’inflazione. Di conseguenza, con un inflazione che verosimilmente
sarà destinata a rimanere al disotto delle previsioni, la performance
del PIL nominale appare ben al disopra di ogni ragionevole previsione.
CONDIZIONI ECONOMICHE OPPOSTE
A conferma dello scenario sopra evidenziato e di quanto siano
inverosimili le previsioni di crescita del PIL elaborate dal Governo,
giova ricordare che nel periodo considerato, almeno fino al 2007, si
sono verificate eccellenti condizioni di crescita nelle aree economiche
più importanti del mondo, che, indubbiamente, hanno trainato la crescita
italiana, con un export particolarmente dinamico.
In questo periodo, al netto delle distorsioni prodotte, si è
assistito anche ad un abbondanza di credito che è stato riversato
nell’economia, determinando una fase virtuosa del ciclo economico.
La facilità di accesso al credito ha consentito agli operatori
economici il finanziamento delle proprie attività e dei propri bisogni:
le imprese hanno potuto investire in opifici, capannoni, immobili,
attrezzature, macchinari e ricerca. Mentre le famiglie ed i privati,
nell’acquisto di case, automobili, o altri beni durevoli. E’ evidente
che dinamiche di questo tipo abbiano avuto un enorme impulso sullo
sviluppo economico del periodo considerato, determinando fenomeni
virtuosi anche nella disoccupazione, che ha conosciuto livelli minimi proprio nel 2007, al 6.1%.
E’ fuori da ogni dubbio che queste condizioni abbiano contribuito
significativamente alla crescita del PIL che, tuttavia, ricordiamo, è
stata ben al disotto della media europea e delle necessità del paese.
Ad oggi sembra di vivere in un altro mondo.
Le desertificazione economica prodotta dalla crisi e dalle politiche
di austerity è sotto gli occhi di tutti, soprattutto nella monotonia
delle tasche degli italiani.
La disoccupazione è doppia (oltre il 12%) rispetto ai tassi minimi del 2007,
mentre quella giovanile ha superato la soglia del 40%, con punte ben
superiori al 50% in alcune zone del sud. Tuttavia, il tasso di
disoccupazione indicato dalle statistiche oltre il 12%, non racconta affatto l’esatta drammaticità della piaga della disoccupazione, poiché non tiene conto di chi ha smesso di cercare lavoro o di chi è sottoccupato.
Non tiene neanche conto delle centinaia di migliaia di persone che
ancora godono della cassa integrazione e che sono in forza ad aziende
che non avranno mai la possibilità di riemergere da questa situazione.
Se di considerassero anche queste variabili, il dato sarebbe proiettato
ben oltre la soglia del 20%.
Inoltre, rispetto al periodo che potremmo chiamare “delle vacche
grasse” (2000-2007, N.d.r.), il reddito procapite reale è precipitato ai
livelli che non si vedevano da oltre un quindicennio. La capacità dei
spesa della famiglie, anche a causa dell’inasprimento fiscale di questi
ultimi anni, ha subito un drammatico tracollo. Decine di migliaia di
imprese hanno cessato la loro attività, hanno chiuso i battenti o si
sono delocalizzate in aree geografiche ove risulti più conveniente fare
impresa.
La pressione fiscale ha raggiunto livelli record, ben superiori a quelli conosciuti fino al 2007.
Ancora: le banche sono alle prese con sofferenze record che si
attestano ad oltre quota 140 miliardi di euro. Queste, sono almeno
quelle ufficiali. Poi ci sarebbero anche quelle non ancora emerse, che
le banche cercano di mantenere latenti più a lungo possibile. Stando la
fragilità del sistema bancario (solo per usare un eufemismo), appare del
tutto improbabile che le banche possano tornare ad allargare i coroni
della borsa e sostenere un ciclo economico, ancorché trainato da altre
economie mondiali che comunque,pur mostrando segnali di maggior
ottimismo,sono ben lontane dai fasti del periodo “delle vacche grasse”.
Nel contesto europeo, invece, giova segnalare che molte economie
sono alle prese con percorsi di rientro dai deficit che chiaramente
impattano sul siclo economico di quelle nazioni e, conseguentemente,
anche nella componente export del PIL italiano.
Queste sono solo alcune delle variabili economiche fortemente
deteriorate che non possono che aggravare le previsioni di crescita per
il prossimo futuro, rendendo gli sforzi previsionali del governo del
tutto inattendibili.
E’ chiaro che queste variabili -che costituiscono solo una minima
parte di quelle che si potrebbero considerare ai fini della nostra
analisi e che confermerebbero comunque il nostro ragionamento-, stando
la persistente fragilità, non potranno contribuire alla crescita del
PIL, come invece avvenuto in passato nel periodo di crescita economica.
Eppure, questo ragionamento, che non ha ben poco di dottrina
economica, sembra sfuggire del tutto al governo che ipotizza previsioni
di crescita fuori da ogni logica di buon senso.
Di conseguenza non si comprendono le ragioni per cui il PIL, nei
prossimi 4 anni, debba cresce in maniera così esponenziale come, invece,
prevede il governo.
Per dirla in maniera prosaica, potremmo chiederci: ALLA LUCE DELLA
DEVASTAZIONE ECONOMICA INTERVENUTA, PERCHE MAI L’ECONOMIA ITALIANA, NEI
PROSSIMI 4 ANNI, DOVREBBE CRESCERE IN MANIERA BEN PIU’ SOSTENUTA
RISPETTO A QUANTO AVVENUTO NEI PRIMI 8 ANNI DEL SECOLO, IN CONDIZIONI
IMPARAGONABILI RISPETTO ALLE ATTUALI?
La risposta è semplice. Ossia non esiste nessun elemento che possa
confermare i livelli di ottimismo profusi dal governo, posto il fatto
che, l’Italia, in questa crisi, ha perso anche una buona parte della capacità di reazione ad agganciare cicli economici favorevoli, ancorché indotti da altre economie trainanti.
In altre parole, a parer di chi scrive, l’Italia si trova a vivere
un’epoca di declino economico e sociale di lungo periodo, dalla quale
uscirne non sarà affatto facile, se non impossibile, permanendo simili
condizioni.
In una situazione come quella descritta, con un cambio non
rappresentativo dei caratteri di debolezza strutturale dell’economia
italiana, invertire la tendenza, verosimilmente, sarà del tutto
improbabile.
Nella condizione attuale, l’ipotesi che appare più verosimile è
quella secondo la quale l’’Italia si troverà ad alternare periodi
recessivi, con periodi di bassa crescita ( stagnazione), in un percorso
altamente allarmante e distruttivo che determinerà:
- Declino inarrestabile del sistema produttivo manifatturiero italiano;
- Aumento della disoccupazione e crescita del paese da sognare per lungo tempo;
- Impoverimento continuo delle famiglie, della classe media e poi anche degli altri;
- Collasso del welfare attuale perché insostenibile.
OPERAZIONE VERITA': A CHE PUNTO E' LA NOTTE ITALIANA
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2 commenti:
non c'è nulla di nuovo da quando ilministro delle finanze francese abbelliva i bilanci prima della rivoluzione francese per far sottoscrivere i buoni della corona x pagare le feste a Versailles
e oggi invece paghiamo le leste e ifestini dei politici
Ben detto,e anche accorto,viste certe previsioni sul futuro sgonfiamento della bolla a macchia di leopardo chiamata mondo.Chissa'quando,pero'.Ma intanto,continua a esserci chi investe e lavora solo in parte col proprio,e riceve concessioni ,regalie,fatte o ricevute.Se possiamo, in piccolo,facciamolo pure noi,dove possiamo,ma se in Italia ci e' rimasto qualcosa,su cui pagare imposte per poi vedere il bene svalutato,guarderei a gente come i Benetton che prendono parzialmente profitto su autogrill,e chiederei la mia parte.
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