STABLE COIN LA VIA PER ESSERE LIBERI DAL FALLIMENTO DEL SISTEMA EURO


GENERALI E LA FRANCIA: OSCAR GIANNINO SEMPRE ACUTO!!!

PROPONGO QUESTA VISIONE DI OSCAR GIANNINO SU GENERALI - MOLTO SIMILE A QUELLA ESPRESSA DA ML, MA CON AGGIUNTA DI INTERESSANTI PARTICOLARI!
LA GUERRA ANTIFRANCESE - MEDIOBANCA E GENERALI


Mediobanca, Geronzi e la guerra antifrancese - Oscar Giannino

“In Italia si illudono, noi qui a Londra stappiamo champagne, ma non per la stessa ragione”. Questo il commento di amici banchieri ai desk europei londinesi di grandi banche d’affari, alle dimission i di Cesare Geronzi dalla presidenza di Generali. E’ la fine di una lunga fase, non c’è dubbio. Dove porti bisogna vedere, e per questo a Londra credono che i vincitori italiani di oggi tendano a fare il conto senza l’oste.

C’é la Francia, di mezzo, e stavolta non si parla di latte ma di biscotti ben più sostanziosi.

L’abilità oggettiva di Diego Della Valle è stata quella di identificare la linea di frattura in Generali che rendeva Geronzi molto più esposto di quanto la sua aura pluridecennale di power broker facessero immaginare a molti. Ma senza l’aggiunta di Fabrizio Palenzona, Della Valle non ce l’avrebbe fatta. E’ l’ultimo difensore di Maranghi, il primo carnefice di Geronzi.

La linea di frattura non è mai stata quella dichiarata, la comunicazione esterna del Leone gestita dai collaboratori di Geronzi. Neanche le cattiverie volate all’ultimo secondo, i milioni di euro del costo complessivo della presidenza – comunque meno che ai tempi di Bernheim, ma allora nessuno fiatava.

Della Valle ha fegatosamente scommesso sul fatto che con attacchi pubblici avrebbe portato dietro di sé i fondi privati e gli amministratori indipendenti, tutti i soci privati in cda, e alla fine la stessa Mediobanca. C’è riuscito.

Anche perché aiutato da un pizzico di fortuna. Se Vincent Bollorè non avesse reagito con un doppio fallo da cartellino rosso, non votando il bilancio pur essendo vicepresidente e attaccando lancia in resta in pubblico Giovanni Perissinotto.

E’ a quel punto, che Della Valle ha affondato la lama. Se l’ex presidente di Mediobanca non riesce a impedire che il vicepresidente francese, esponente di un pezzo essenziale del patto di sindacato di Mediobanca stessa, ponga con le sue incaute decisioni l’ad Perissinotto in condizioni di minacciare un esposto alla Consob contro entrambi, allora bisogna mandarli a casa. Su questa linea, da Nagel di Mediobanca ai grandi privati come Pelliccioli e Caltagirone, fino ai consiglieri indipendenti a nome dei fondi azionisti, non hanno potuto che convenire.

Ho purtroppo l’impressione, però, che il problema sia solo a parole quello della maggior focalizzazione di Generali sul suo core business, ponendo termine ai lunghi anni in cui ha sottoperformato rispetto ad Axa e Allianz.

La questione è diversa, ed è per questo che i miei amici banchieri a Londra stappavano champagne. Fino a lunedì sera sembrava che la riunione del cda mercoledì si sarebbe conclusa con una abborracciata mezza marcia indietro di Bollorè, e qualche nuovo scambio di sciabola con Geronzi. Ma nella notte di lunedì si è capito invece che in primis i manager di Mediobanca consideravano la posizione di Bollorè non più risolvibile, perché ad essere minacciata era la stessa Mediobanca in prospettiva. E’ stato Palenzona, a convincerli. E tutto è precipitato.

Della Valle ha così ufficialmente aperto la grande campagna perché i soci francesi escano da Mediobanca. Il patto di sindacato scade a fine anno, controlla il 44% di Piazzetta Cuccia, e vede i soci stranieri all’11% con singole partecipazioni non superiori al 2%, salvo Financière du Perguet fino al 5% e Groupama fino al 3%. Da settembre dell’anno scorso, anche Bolloré poteva crescere con la propria quota. L’addio di Geronzi è l’inizio della fine della classe C di azionisti in Mediobanca, affiancati alle banche di classe A e ai privati italiani di classe B come Troncheti, Ligresti, le stesse Generali, la Dorint di della Valle, i Benetton, Fininvest, Doris, i Ferrero e i Fumagalli.

Per cambiare il patto ci vuole almeno il 30%, diciamo che non ci si divide tra banche e privati gli italiani possono far fuori i francesi.

Che però hanno altre azioni non dichiarate, e per questo con Groupama volevano salvare Fonsai di Ligresi – li ha fermati la Consob – e ancora le stanno addosso. Bollorè ha sbagliato ad attaccare a fronte bassa, a meno che non immaginasse che senza Bernheim a Trieste gli italiani lasciassero fare ancor più ai francesi, in Mediobanca come a Trieste.

Ammesso che i francesi schiodino senza troppi danni – e a Londra dicono di no, anzi pensano che i banchieri d’affari potrebbero lucrare commissioni notevoli su tentativi di scalata stranieri alle stesse Generali - chi si candida a crescere in Mediobanca rilevando le quote francesi, e ad avviare nelle altre partecipate dal salotto buono come Rcs e Telecom Italia svolte paragonabili a quella avvenuta a Trieste?

Dacché è stato chiaro che Della Valle si avviava a vincere, l’unione dei soci alle sue spalle si è fatta sempre più estesa. Perché per candidarsi al ruolo di nuovo baricentro di Mediobanca, con tutto quel che consegue nell sue partecipate, bisogna partecipare alla defenestrazione di Geronzi oggi.

E veleggiare in un pelago rischioso da oggi in avanti. Perché i privati forti di denaro proprio da investire sono pochi, essenzialmente lo stesso Della Valle ma soprattutto Caltagirone, che finora ha molto misurato le parole ed esteso le sue quote, proprio pensando a quando inevitabilmente tra banche e pochi grandi pivati italiani il suo ruolo crescerà ancora. Ben oltre quello di presidente a interim di Generali, a cui è giunto oggi.

Al contempo il mondo dei soci di Unicredit non poteva mancare alla defenestrazione, visto Che Palenzona è stato decisivo per smuovere Mediobanca: ed è per questo che Miglietta ha dato il suo voto. Nella nuova vulgata dell’Unicredit post Profumo, illustrata da Palenzona, le fondazioni socie non intendono più assistere al fatto che sia solo Banca Intesa a realizzare le cosiddette “operazioni di sistema”, e cioè domani a mettere amici propri al posto dei francesi in Mediobanca.

In altri tempi, sarebbero stati innanzitutto i manager operativi di Mediobanca e di Generali, a giocare anch’essi un ruolo di primo piano nel futuro dei propri istituti. Oggi, per la statura personale e per come hanno interpretato i tempi, che non sono più quelli di Marangui, è praticamente impossibile. Anche se quella di Nagel è la firma in testa alla lista, senza la quale la condanna di Geronzi non sarebbe stata seguita. Con tutto il rispetto per Nagel, però, non sarà lui a poter né governare i colpi portati ai francesi né la loro reazione, né a cesellare il nuovo quilibrio che si determinerà di qui alla fin dell’anno in corso, se davvero guerra sarà e non ci si accontenterà del primo colpo di cannone in Generali.

Se pensate alla politica, il ministro dell’Economia come la sua Cdp guidata da ex uomini di Banca Intesa e già mobilitata sul fronte Parmalat ed Edison non possono considerarsi disinteressati, a un’azione volta a impedire che i francesi crescano nell’orto Mediobanca.

Freddamente, il ministro ha sempre fatto intendere che il rapporto con Geronzi riguardava Palazzo Chigi, non via XX settembre. Della Valle può immaginare che la crescita italiana in Mediobanca di cui il suoi oggettivo successo in Generali è fautore possa essere anche vento nelle vele politiche della svolta montezemoliana a favore della “borghesia produttiva”, come si scrive negli articoli di ItaliaFutura. Ma forse è meglio non dimenticare che ci sono anche aziende del Cavaliere, tra i soci Mediobanca. Sarà battaglia dura, perché di mezzo c’è un bel po’ di fette di torte sin qui tenute ad ammuffire. Quanto a Geronzi, per come lo conosco credo sia il primo a non farsi ora illusioni, su quanti gli volterano ora ancor più le spalle.

Sarebbe bello immaginare che il no a Geronzi sia il sì di tanti al graduale sciolgimento di patti di sindacato dentro, fuori e sotto Mediobanca, patti che oggi non hanno più giustificazione e significato che avevano quando vennero disegnati, e che servono solo a rendere più opaca la conduzione aziendale, meno focalizzati sulla creazione di valore i manager, e più fitti i conflitti di interesse di amministratori e soci, prenditori prestatori, creditori e debitori. Ma scommtto che la speranza resterà delusa, sperando si sbagliarmi.
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1 commento:

Anonimo ha detto...

Dott. Barrai si può ipotizzare una discesa di Mediolanum in Premafin? Qualcuno compra Premafin? Unicredit mi pare che entri in Fonsai non in Premafin, e chi controlla Premafin potrebbe diventare fondamentale per il controllo di Mediobanca.