STABLE COIN LA VIA PER ESSERE LIBERI DAL FALLIMENTO DEL SISTEMA EURO


FONDI PRIVATE EQUITY ENNESIMO BUCO NERO....


Ne parliamo da oltre 1 anno....i fondi di Private equity ogni giorno perdono sempre più soldi. Molti sono già Tecnicamente falliti", avendo comprato aziende a prezzi folli e con l'uso del debito, oggi hanno già perso l'intero capitale, ma non lo dicono in quanto le aziende che hanno in pancia non sono quotate e quindi possono essere mantenute a bilancio a prezzo d'acquisto.

Le banche che li hanno finanziati hanno già rivenduto tali prestiti (con cartolarizzazioni che sono destinate ad andare a zero). I covenants (ovvero le regole che, se rotte, permettono alle banche di richiedere indietro i soldi) sono spesso saltati, ma se la banca chiedesse i soldi indietro i fondi sarebbero costretti a vendere le aziende a 1/3 del prezzo di acquisto e tali fondi sarebbero destinati alla bancarotta.

Ma non si capisce la posizione di ANNA GERVASONI, professore Bocconi e GIAMPIO BRACCHI (RESPONSABILI DELL'ASSOCIAZIONE ITALIANA PRIVATE EQUITY).

Il loro ottimismo è ALTAMENTE INGIUSTIFICATO E FALSO. In realtà i fondi private equity saranno delle bare per i risparmiatori che hanno messo lì i loro risparmi!!!

Ma leggete le loro dichiarazioni rilasciate in settimana:

23 OTTOBRE 2008 Private equity, mercato Italia cresce nonostante credit crunch
(Reuters) - Il private equity made in Italy non ha rallentato il ritmo di crescita nel primo semestre di quest'anno, nonostante la crisi finanziaria abbia reso più
difficile concludere acquisizioni a debito. E' quanto emerge dai dati semestrali sul mercato del private equity e del venture capital, che sono stati illustrati
dall'Aifi, l'associazione di settore, e da PricewaterhouseCoopers-Transaction Services, nel corso di una conferenza stampa.
Le operazioni, fra gennaio e giugno, sono state 170, con un incremento dell'11% rispetto a un anno prima, per un controvalore complessivo di 2,772 miliardi di euro, pari a una crescita del 45% sul primo semestre 2007.
Giampio Bracchi, presidente dell'Aifi, ha sottolineato che "anche il terzo trimestre sinora è stato buono, sebbene a partire da metà settembre sia diventato più difficile finanziare operazioni a debito".
Anna Gervasoni, direttore generale dell'Aifi, ha sottolineato che "è abbastanza probabile che l'anno si chiuda in linea con il 2007", quando le operazioni erano state 302, per un controvalore di 4,197 miliardi. In effetti, ci sono due-tre deal
(N&W Vending e Cerved, per esempio) di buone dimensioni che dovrebbero essere chiusi prima della fine dell'anno e consentire di eguagliare o superare il risultato del 2007.
La motivazione alla base della tenuta del mercato italiano - fotografata dal fatto che l'ammontare investito nel nostro Paese è stato superiore a quelli di Germania (2,643 miliardi) e Spagna (1,271 miliardi), che in passato si collocavano davanti a noi - è nella natura del tessuto industriale, composto da piccole e medie aziende. E, infatti, il 69,5% delle operazioni ha riguardato Pmi, ovvero società con meno di 250 dipendenti. Mara Caverni, partner di PricewaterhouseCoopers, ha spiegato
che "l'Italia si caratterizza per operazioni medio-piccole, con poca leva e una sindacazione del debito più facile". Quindi, la sparizione dei mega-deal ha inciso poco nel nostro Paese.
La nota dolente è rappresentata dai disinvestimenti, che sono calati del 50% in termini di ammontare, a 739 milioni, pur salendo di due unità, a 92, come numero di operazioni. "E' un mercato dei compratori", ha sintetizzato Bracchi, "ci
sono meno opportunità di vendere, anche perché la Borsa non riceve": le Ipo hanno rappresentato appena l'1,6% dell'ammontare delle way-out.
"Si sta allungando il periodo in cui i fondi mantengono in portafoglio le aziende", ha aggiunto Gervasoni, e ciò potrebbe tradursi "in un calo dei rendimenti". I classici 3-5 anni di permanenza in portafoglio degli investimenti, dunque, dovrebbero diventare di più.
Caverni ha aggiunto che le difficoltà sul lato financing stanno spingendo "i fondi a lavorare sul portafoglio, ristrutturare, aggregare". Si concentrano sullo sviluppo delle partecipate, anche perché, almeno per ora, "i venditori non hanno adeguato le richieste di prezzo" al contesto di mercato.


Cara Gervasoni e Caro Bracchi, l'Aifi, fra poco sarà un luogo funebre e quindi un po' più di realismo pessimista sarebbe dovuto e richiesto!
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5 commenti:

Anonimo ha detto...

chiedo scusa
ho scoperto che mia madre ha dei fondi collocati dalle poste italiane della goldman sachs
qualcuno sa dirmi che ci puo fare?

Unknown ha detto...

Mi permetto di commentare in quanto opero nel settore. E' giusto quando lei dice che ci sono state acquisizioni a prezzi folli, pero' il problema rimane delle banche, non dei fondi di pe.

Ci saranno delle ristrutturazioni di debito (quindi write-off dei debiti leverage), ma saranno le banche ad assorbire questo write-off.

E' chiaro che alcuni fondi sopporteranno delle minusvalenze (ma in sede di vendita, NON ADESSO), che potrebbero portare i loro futuri fundraising a non essere felici come in passato.

Io credo quindi che l'effetto delle acquisizioni a prezzi folli sarà:

- ulteriori write-off bancari, e ulteriori svuotamenti dei bilanci delle banche (già ora questi debiti tradano nei mercati secondari a 20-60% il par value - pero ancora non sono stati svalutati sui libri)
- una selezione degli operatori di pe - quelli bravi sopravviveranno, quelli meno bravi no.

Saluti e complimenti per il blog

Luca

ML ha detto...

Caro Luca, sono daccordo con lei...ma non capisco perchè saranno le banche a fare perdite.
Le banche finanziano il fondo per comprare l'azienda. Se Il fondo dovrà restituire i soldi alla banca.....

Unknown ha detto...

Non è il fondo che restituisce i soldi alla banca, bensì l'azienda acquistata (target). Se l'azienda non performa come dovuto (o se il leverage è troppo spinto, al punto da non permettere ai cash flow dell'azienda di ripagare il debito), le soluzioni sono:

- si portano i libri in tribunale, il fondo perde tutto e la banca liquida gli asset dell'azienda per ripagare (in parte) il debito concesso

o

- si raggiunge un accordo fra azionisti (fondo) e banche per ristrutturare il debito, spostando scadenze, riducendo gli ammontari, concedendo warrant / incentivi azionari alle banche etc.

Spesso si sceglie la seconda via, perche un azienda funzionante nel 95% dei casi vale di più di un azienda in liquidazione. Quindi anche per la banca conviene perchè all'exit potrà rifarsi su asset cher avranno maggior valore.
Chiaramente la ristrutturazione del debito ha l'effetto di ridurre gli asset della banca nell'immediato. Dall'altra parte il fondo subirà una plusvalenza (forse) all'exit. Per questo fanno perdite le banche.

Negli ultimi anni il rapporto fra fondi e prestatori di debito era iniquo, in quanto c'era moltissima liquidità (debito) e tutti correvano a finanziare le operazioni leveraged. Questo in molti casi ha messo i fondi in rapporto di forza vs. le banche con contratti di finanziamento burla, covenants estremamente leggeri, e chi piu ne ha piu ne metta.

Saluti ancora
Luca

Anonimo ha detto...

Luca sei un tosto.
Non ci ho capito quasi una mazza, cioè se mi sforzo troppo mi gira la testa, ma si intuisce la tua profonda conoscenza: dovresti lavorare con Barrai!
Gianni