STABLE COIN LA VIA PER ESSERE LIBERI DAL FALLIMENTO DEL SISTEMA EURO


MPS INTERVENTI ALL'ASSEMBLEA DI ALCUNI SOCI

QUI DI SEGUITO RIPORTO TRE INTERVENTI DI TRE AZIONISTI DEL MONTEPASCHI FATTI DURANTE L'ASSEMBLEA DI OGGI:

LASCIO A VOI GIUDICARE...


INTERVENTO NUMERO 1
Assemblea del 24 aprile 2009 – Intervento del socio PARENTI
Siamo oggi chiamati in Assemblea a discutere ed approvare un bilancio la cui principale caratteristica viene indicata nell’utile “record” registrato e nella conseguente misura record del dividendo distribuito agli azionisti.
Ventuno centesimi di euro sono in effetti un importo significativo e da apprezzare, pur nel clima di grande preoccupazione per il grave calo della quotazione del titolo che, rispetto a due anni fa, ha perso quasi il 40% mentre il settore bancario italiano si è limitato ad un meno 13,5%. Ma non è utile soffermarsi tanto sul dividendo attuale, vistoso per chi ha investito negli ultimi mesi, molto meno vistoso per chi comprò a 5 e più euro. Piuttosto voglio richiamare la vostra attenzione sui dividendi che ci attendono già dal prossimo anno sulla base di dati ed elementi che sono a voi tutti noti.
Il primo fatto riguarda l’imminente “annacquamento” delle nostre azioni. Se oggi capitalizziamo 8,7 miliardi di euro e dobbiamo collocare altri 5 miliardi di nuove azioni ad un prezzo prevedibilmente “con sconto” rispetto alla quotazione del momento dell’emissione, la quantità di azioni risulterà quasi raddopiata e quindi l’utile del prossimo anno, se ripetuto ai livelli record di quest’anno, produrrà un dividendo pressochè dimezzato.
Sappiamo inoltre che l’acquisto di Antonveneta, oltre a richiedere l’aumento di capitale, produce alla nostra azienda un elevato indebitamento il cui costo per interessi andrà sensibilmente a incidere sull’utile e quindi sul dividendo stesso.
Vediamo le tre componenti di debito:
· il prestito convertibile di 1 miliardo, con durata illimitata sino all’eventuale conversione, paga 425 basis points sull’euribor, cioè il 9%, producendo circa 90 milioni annui di interessi che graveranno a lungo sui nostri bilanci ;
· il prestito subordinato “upper Tier II” di 2 miliardi della durata di 10 anni, paga 250 basis boints sull’euribor a sei mesi, cioè il 7,30%, pari a 146 milioni annui di interessi;
· il prestito ponte che assiste le dismissioni di assets per 2 miliardi, considerando i tassi correnti di mercato per tali operazioni, non pagherà meno del 6% e non si estinguerà certo prima della fine del 2009. Il costo per interessi sull’intero importo è di 120 milioni.
Mi direte che il totale di circa 360 milioni di euro (circa 700 miliardi delle vecchie dimenticate lire) è poca cosa rispetto all’utile attuale di 1.437 milioni, ma faccio pur sempre notare che si tratta di un quarto di questo importo.
Un importo, i 1.437 milioni dell’utile 2007, che è, per così dire, “viziato” dalla presenza di una posta straordinaria proveniente dalla vendita di una quota signoficativa del nostro comparto assicurativo ad AXA, ben 735 milioni, in assenza del quale non si sarebbe pututo assolutamente parlare di “record”. Infatti, l’utile dell’operatività corrente, al netto quindi delle dismissioni, è quest’anno calato da 787 milioni a 717, con un arretramento di 70 milioni.
Il maggior carico per interessi di 360 milioni, se lo raffrontiamo a queste ulteriori cifre, porterà quindi nel 2008 a dimezzare l’utile corrente registrato quest’anno “sforbiciando” ulteriormente il dividendo sino a ridurlo a quasi un quarto del valore attuale. So bene che si tratta di un “conto della serva”, nel quale non ho voluto aggiungere, in negativo, i minori introiti dalle partecipazioni legati alla politica di dismissioni e che già quest’anno, seppure in quota minima, si sono registrati con la vendita ad AXA nel quarto trimestre.
Ma penso già di sapere che, per almeno due anni, questo quadro a tinte fosche può essere tranquillamente contraddetto. In fondo stiamo per vendere 2 miliardi di assets e qualcosa “colerà” pure sul conto economico. Almeno fin quando resterà ancora qualcosa da vendere. Il problema, quando si presenterà, lo affronteranno i futuri azionisti ed i futuri amministratori.
Ma per la collettività dei dipendenti presenti e passati di questa azienda che l’hanno portata ai traguardi attuali, per la collettività senese che attraverso la Fondazione fa affidamento su un suo continuo rafforzamento, per il tessuto imprenditoriale di questo territorio locale ed interregionale che necessita dell’autorevole presenza di un istituo bancario come il nostro, potrebbe essere amaro il risveglio da questa ubriacatura di utili costruiti sull’indebolimento


INTERVENTO NUMERO 2
Assemblea del 24 aprile 2009 – Intervento del socio GIUSTI
Il nostro bilancio 2007 ancora non risente degli effetti dell’operazione Antonveneta, ma questa operazione ha certamente un peso determinante sulla quotazione dell’azione e sulle prospettive che la nostra azienda ha davanti, per cui ritengo che sia pertinente e necessario commentare brevemente le caratteristiche di tale acquisto.
Ci dicono alcuni commenti della stampa specializzata che l’operazione ha aggravato alcuni rischi finanziari che erano già presenti al momento dell’acquisto, consistenti nel rendere più oneroso il classamento dei bond e nell’aver complicato le cessione degli asset. Gli stessi commentatori ci hanno ricordato che esistono anche importanti rischi industriali, in quanto la rete Antonveneta, compresa la ex rete della conglobata Banca Nazionale dell’Agricoltura, restano emanazione dello stile di Pontello, e che la rivoluzione tentata per due anni dalla Abn Amro non ha avuto successo, come ci dicono i risultati negativi del bilancio 2007.
Non ritengo azzardato affermare che l’acquisto dell’Antonveneta si è rivelato da subito sbagliato sia nei tempi che nell’importo.
Per quanto riguarda i tempi noi sappiamo che in novembre
- era già presente un rallentamento dell’economia ed erano visibili i segni della recessione americana
- e che, allo stesso tempo, la crisi dei sub prime era già nota da sei mesi, e che questa oveva già ed avrebbe ancor più reso turbolento il sistema bancario italiano.
Una turbolenza ed una incertezza sulle prospettive che sconsiglia di avventurarsi in onerose operazioni di espansione, tanto che, ad esempio, la stessa BNP agli inizi di febbraio ha escluso categoricamente di compiere operazioni di sviluppo esterno affermando, come ha riportato la stampa, che “chi compra a questi prezzi cede tutto il valore, anche quello futuro, a chi vende lo sportello o la banca”.
Dobbiamo quindi entrare nel merito del prezzo da noi pagato per l’acquisto, 9 miliardi di euro.
Per fugare ogni dubbio al riguardo, basta leggere sul sito del Banco Santander una breve nota la cui semplice traduzione dall’inglese ci dice: “La Banca Italiana Antonveneta è stata inoltre inizialmente assegnata al Banco Santander, che l’ha quindi venduta al Monte dei Paschi di Siena per 2,4 miliardi di euro in più dell’ammontare assegnato al momento dell’offerta”. Il Santander cioè, nei soli due mesi da quando in settembre si aggiudica Antonveneta per un valore di 6,6 miliardi, decide di liberarsene e la ricolloca a 9 miliardi trattenendosi, dobbiamo ricordare, il settore corporate della banca venetà, già scorporato come Interbanca ed il cui valore è poi risultato intorno al miliardo di euro. Congratulazioni a questi banchieri che in soli due mesi portano a casa un un guadagno di quasi il 60% e di queste dimensioni, ma qualunque persona di buonsenso sa che in una transazione se una parte guadagna tanto è sempre a scapito della controparte.
Si disse all’epoza che un costo di 9 milioni a sportello non era poi esagerato rispetto al mercato. Su questo basta osservare che a novembre il nostro Gruppo capitalizzava 12,5 miliardi ed aveva circa 2000 sportelli, quindi un valore medio a sportello intorno ai 6 milioni. Poi abbiamo visto Unicredit vendere 186 sportelli “puliti”, cioè senza l’aggravio di direzioni generali e centri elettronici, per 747 milioni, un prezzo a sportello intorno ai 4 milioni. E non deve essere certo un prezzo ridicolo considerando che poco più di 4 milioni valgono ora anche gli sportelli Monte rispetto alla capitalizzazione attuale.
Se poi consideriamo che Antonveneta ha chiuso il 2007 in perdita, dobiamo prendere atto che stiamo, in sintesi, pagando 9 milioni sportelli che non producono utile mentre abbiamo nel Monte sportelli che valgono 4 milioni ma che ci hanno portato un utile “record”, come viene affermato in questa sede.
Il nostro ultimo piano industriale, quello varato successivamente all’acquisto, pare disinteressarsi di questi aspetti, prefigura una crescita dei rendimenti del comparto Antonveneta che diventa stratosferica se rapportata agli ultimi risultati e, soprattutto, se confrontata con le tendenze manifestate negli ultimi anni dalla banca che abbiamo acquistato.
Nel quadrienni 2004/2007 l’Antonveneta ha visto infatti ridurre la raccolta diretta da 36,3 miliardi a 25,1 con un meno 30,8%, ridurre gli impieghi alla clientela da 34,7 a 30,6 miliardi con un meno 11,8%, né sono migliori i dati economici e patrimoniali.
Ci attendiamo dall’acquisto grandi sinergie e un rafforzamento in un’area strategica dell’economia italiana. Questo è l’ultimo aspetto sul quale voglio richiamare l’attenzione dei soci. Si sottace infatti che oltre ai circa 350 sportelli presenti nel nordest, certamente preziosi anche se sovrastati da una ben più consistente rete delle banche concorrenti, abbiamo acquistato anche 56 sportelli nella fascia Toscana/Umbria/Marche, dove certo non era necessario rafforzare la nostra presenza, e 113 tra il Lazio e la Campania, dove abbiamo già una buona rete. Ma suscitano dubbi ancora più consistenti i 71 sportelli acquistati in Puglia, dove alla nostra presenza tradizionale si era da tempo aggiunta la rete ex 121, i 28 sportelli della Calabria e, dulcis in fundo, i 96 in Sicilia. E, voglio sottolineare a conclusione, anche tutti questi sportelli in aree a basso interesse strategico, contribuiscono al prezzo medio di 9 milioni di euro a sportello.

INTERVENTO NUMERO 3
Assemblea del 24 aprile 2009 – Intervento del socio Renato Lucci

L’assemblea di bilancio è, soprattutto per i soci, il momento per esaminare e dibattere sullo stato di salute e sulle prospettive dell’azienda in cui tutti noi abbiamo investito dei capitali e nella quale taluni di noi, dipendenti, ex dipendenti, cittadini senesi, abbiamo dedicato attenzione, sostegno o direttamente la propria attività lavorativa.
Noi azionisti, troppo spesso, ci fermiamo ai risultati acquisiti ed anche su di essi non stiamo troppo a sottilizzare: stacchiamo oggi un dividendo di 21 centesimi ad azione, lo rapportiamo a quanto abbiamo speso per singola azione e, chi più e chi molto meno, siamo comunque tutti contenti.
C’è da dire che anche sotto un profilo strettamente utilitaristico in questa assemblea c’è poco da stare allegri. Il Consiglio di Amministrazione, nel periodo intercorso dal suo insediamento, ed in particolare il Presidente, avevano preso degli impegni con l’Assemblea per garantire ed enfatizzare il valore delle nostre azioni ed il risultato di questi due anni è stato drammatico.
La quotazione delle nostre azioni, nonostante qualche lieve recupero in prossimità di questa scadenza, è da troppi mesi in caduta libera, soprattutto da quando, nel novembre scorso, è stata annunciata l’operazione di acquisto della Banca Antonveneta.
Ora, tutti sappiamo che una quotazione azionaria, oltre a scontare le tendenze generali della borsa, risente in gran parte delle “aspettative” del mercato sulle prospettive a breve e medio termine della singola società.
Se vogliamo allora correttamente analizzare l’andamento della nostra azione da quando si è insediato il nuovo Consiglio di Amministrazione, dobbiamo riferirci al 30 giugno del 2006, quando era stato appena illustrato il nuovo piano industriale, approvato appunto il 27 giugno; a quella data l’azione Monte aveva chiuso a 4 euro e 70.
Da allora vi è stata anche una stagione di crescita della quotazione, ben oltre i 5 euro, e quindi una discesa che, appunto, si è accentuata dal mese di novembre e ci ha condotto a chiudere a 2 euro e 859 venerdì 18 aprile. La nostra perdita di valore nel periodo è stata del 39,17%, la perdita media del settore bancario italiano è stata del 13,48, e quindi il nostro differenziale negativo è stato del 25,69%.
Per parlare di valori, la nostra capitalizzazione, che nel 2006 era di 14,25 miliardi di euro, è scesa a 8,67 miliardi, con una perdita che per 1,92 miliardi è da attribuire alle difficoltà di mercao e per 3,66 miliardi va attribuita direttamente alla strategia seguita dalla nostra banca.
E’ pur vero, verrà fatto notare, che nel periodo sono stati pagati i dividendi, ma se consideriamo anche questi valori il divario negativo con il sistema bancaio, invece di diminuire, aumenta.
Per quelli di noi che hanno creduto agli obbiettivi illustrati due anni fa ed hanno investito a quei prezzi, la perdita patrimoniale è enorme, e in buona parte, per circa due terzi, attribuibile a responsabilità interne.
Per quelli che oggi vogliono dare ulteriormente credito ai nuovi obbiettivi dichiarati dopo l’annuncio dell’acquisto di Antonveneta, si tratta di sottoscrivere nuove azioni, annacquare la perdita, e sperare nella nuova promessa di futura crescita.
Per la nostra banca di cui siamo soci, si è trattato di una perdita di valore che non resta priva di pesanti effetti pratici, tra i quali voglio sottolineare il fatto che il nostro valore di borsa è adesso inferiore a quei 9 miliardi di euro che andiamo a spendere per un’azienda che ha la metà dei nostri sportelli.
Sulle prospettive che ci attendono riguardo al valore delle nostre azioni, vedo che i vertici aziendali sono molto attenti ai pochi pareri positivi e quasi offesi dai numerosi pareri negativi, alcuni dei quali devono essergli addirittura sconosciuti visto che si è provveduto a oscurare dalla rete internet aziendale alcuni dei siti finanziari più critici verso le scelte più recenti.
Tra chi manifesta fiducia spicca la Goldman Sachs, che la scorsa settimana ha dato una indicazione buy. Ma forse, in questo caso, la cosiddettà “muraglia cinese” tra l’attività di analisi e quella di investiment si è un po’ sgretolata, visto che Goldman svolge il ruolo di global coordinator del collocamento dei 5 miliardi della nuova emissione azionaria. In pratica, chi deve vendere le azioni e si è impegnato a tenersi l’eventuale invenduto, ci dice che conviene acquistare.
Tra chi è meno entusiasta, voglio invece citare Standard&Poor’s che poco prima, sui giornali del 28 marzo, ha espresso un out look negativo sul Montepaschi motivandolo con il rischio che il Gruppo non sia in grado di ristabilire i livelli patrimoniali previsti dal piano industriale varato dopo la fusione e per gli impatti negativi che si avranno sulla redditività nel caso non si ottengano le sinergie legate a questa operazione.
Ma gli amministratori ed il management sono convinti di riuscire a gestire le enormi difficoltà che hanno di fronte e sono stati autorizzati a proseguire nella strada intrapresa. Voglio allora analizzare brevemente il bilancio 2007 i cui dati ancora non hanno risentito dell’operazione Antonveneta e ci permettono quindi di fare dei raffronti con i bilanci precedenti e con la concorrenza.
Riguardo al risultato finale del bilancio, il miliardo e 453 milioni di utile della capogruppo, osservo che anche quest’anno, come per gli anni precedenti, è fortemente rimpolpato da poste che nulla hanno a che vedere con la nostra attività d’impresa. Ci sono stati anni in cui abbiamo attinto alle riserve, altri in cui abbiamo lesinato sugli accantonamenti, il 2007 è stato uno degli anni in cui abbiamo profittato delle dismissioni. L’utile dell’operatività corrente, il rigo prima delle dismissioni, indica infatti un importo di 717 milioni, 70 milioni meno dell’anno precedente. Se non avessimo venduto la quota di controllo delle attività assicurative ad Axa, il bilancio di quest’anno sarebbe stato in calo.
Non mi soffermo, per rispetto delle disponibilità di tempo degli altri soci, sul dettaglio di singole poste del bilancio, ma devo almeno osservare che, a fronte di un modesto miglioramento del margine di intermediazioni, circa 70 milioni pari ad un aumento dell’1,47%, si riscontro invece un incremento di circa 200 milioni delle spese generali e quindi dei costi operativi, nonostante la lieve riduzione delle spese per il personale determinata dall’allontanamento dal servizio delle fasce di lavoratori più anziane ma anche più professionalizzate. Dopo l’esodo incentivato di circa 65 dirigenti nel 2006, anche il 2007 ha visto infatti l’allontanamento dal lavoro di circa 280 dipendenti dalle strutture di direzione del Gruppo, con una procedura che per la prima volta nella storia del Monte si è avvalsa della minaccia di licenziamento, minaccia che mi risulta essere stata attuata in una ventina di casi e che ha dato origine a cause legali di dubbio esito.
Anche il 2008 si sta aprendo con un nuovo esodo, questa volta volontario ma di proporzioni ben più consistenti, proseguendo una strategia che, fino ad oggi, non ha ancora portato apprezzabili benefici al conto economico, vista la connessa erogazione di incentivi economici, ma che allo stesso tempo sta stravolgendo non solo il patrimonio di conoscenze accumulato da questi strati lavorativi, ma anche una cultura aziendale ed un modo di essere che ha finora contraddistinto la nostra azienda.
Tornando ai dati, dal 2006 al 2007, se escludiamo l’avventura intrapresa con Antonveneta, non si trova traccia dei risultati che il piano industriale pretendeva di raggiungere rapidamente attraverso lo sviluppo “per linee interne” e la strategia dello “stand alone” che ancora ad agosto sembrava l’unica che si volesse percorrere.
La sostanziale ininfluenza di quel piano industriale sarà d’ora in poi cancellata dall’operazione Antonveneta, che lascerà un segno indelebile e vistoso sulla nostra azienda, ma è doveroso prenderne atto in questa assemblea come segno della attendibilità dei nostri piani industriali.
Vi cito a sostegno di questa mia pesante affermazione, alcuni dati desunti da una recente pubblicazione di Mondo economico che ha effettuato un raffronto tra le prime 13 banche in Italia, direi con occhio benevolo nei nostri confronti visto che, per totale dell’attivo, raccolta e impieghi alla clientela ci ha già attribuito i volumi della Banca Antonveneta che devono ancora essere incorporati.
Dalle tabelle di questa pubblicazione vediamo anzitutto che il nostro margine di intermediazione ha segnato un incremento dell’1,8% sul 2006, ponendoci al terzultimo posto tra le 13 banche.
Il risultato corrente lordo è diminuito dell’1,8%.
Il cost income al 58,4% è in leggero calo rispetto al 59,6 dell’anno precedente, ma ci colloca a metà classifica.
Del risultato netto dell’operatività corrente ho già accennato, e la riduzione di 70 milioni ci porta in fondo alla classifica.
In terzultima posizione siamo per il Roe all’8,8 e nei ratios patrimoniali.
La terza posizione la raggiungiamo finalmente, ma c’è poco da essere soddisfatti, nella percentuale dei crediti in sofferenza.
Come vedete si tratta di pochi elementi, sottaciuti o minimizzati nella relazione del Presidente, ma estremamente preoccupanti e comprensibili a tutti. Su di essi non mi dilungo a sviluppare requisitorie ben più adatte alle capacità oratorie degli avvocati, ma li ho voluti elencare con la pignoleria tipica del ragioniere, che è appunto il titolo di studio che posseggo e con il quale ho contribuito a quest’azienda per tutta la mia vita lavorativa. Non c’è in me alcuna soddisfazione nel dover sottolineare in questa assemblea i punti critici di una gestione che considero deleteria, ma io, e tutti quelli che con il loro lavoro hanno contribuito allo sviluppo di questa banca, abbiamo a cuore il suo futuro e non possiamo limitarci al mugugno ed accettare la dilagante omertà.
Concludo con la mia convinzione sullo “stato di salute” della nostra società: con una battuta posso affermare che mi sembra preoccupante che, accanto al capezzale dell’atleta malato, si continui a dimostrare tanta tracotante sicurezza e a iscriverlo a nuove impegnative competizioni come se fosse in piena forma. Con questi metodi, troppo spesso, l’atleta finisce per soccombere ed il bello è che la colpa sarà data solo a lui e non a quelli che avrebbero dovuto avere maggiori attenzioni e cautele.
Purtroppo siamo soci di un’azienda le cui quote di maggioranza sono in mano ad una Fondazione che, come tutte le Fondazioni, così ci dicono autorevoli commenti della stampa specializzata, ha l’interesse principale ad ottenere utili per mantenere elevate le erogazioni e quindi indiscusso il proprio potere. La stessa Banca d’Italia ha additato questo problema ed avrebbe preferito che si fosse invece irrobustito il patrimonio delle banche in vista di possibili periodi di crisi.
Ma questa lungimiranza non sarà certo apprezzata in questa sala e penso di poter già ora annunciare il mio voto contrario all’approvazione di un bilancio che guarda più alle aspettative di guadagno immediato e agli interessi dei soci che non hanno bisogno di disinvestire a breve piuttosto che porre al primo punto la solidità futura della società ed i valori patrimoniali che vi abbiamo affidato.
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1 commento:

Anonimo ha detto...

GRANDE GIUSTI, SE ERI TE IL SINDACO DI SIENA ERA MOLTO MEGLIO! VIVA LA LEGA, VIVA LA SENESITA' DELLA BANCA (QUELLA VERA!)