OSCAR GIANNINO SULLA CADUTA DI PRODI

Ecco l'articolo con il quale Giannino ha salutato Prodi nel giorno dell'uscita di scena.
Non posso che accodarmi alla schiera di persone che è convinta che Prodi abbia fatto male all'Italia. Berlusconi non è certo la soluzione....e allora siamo veramente nel guano fino al collo!
Oscar Giannino:
È caduto. E noi godiamo. Smisuratamente. Prodi è rimasto appeso alla sua superbia. Il peggior trapasso, per un politico. Si può perdere con dignità, per sfortuna. Perché qualcosa di imprevisto va storto. Ma quando si perde così, per pura e livida tigna, senza lasciar speranza a chi si lascia nell’onta della sconfitta, allora si perde per sempre. Insieme al diritto a essere un leader politico. Se poi è la seconda volta, il verdetto è definitivo. Per questo godiamo. Non con l’ebbrezza dei pazzi. Con il sollievo della ragione. Non perché siamo dei barbari, ignari che la politica sia una cosa seria e che il Paese versi in condizioni terribili. No. Godiamo perché la caduta di Prodi è la fine ultima della carriera di un politico i cui effetti sono stati devastanti. Per il Paese e la sua immagine nel mondo. Per tutti noi poveri contribuenti. E per la sua parte politica. Perciò godiamo. Prodi ha avuto quel che si merita. A casa. Fine corsa. Mai più.
Prodi ha sempre pensato che a governare basti il pallottoliere, un voto in più. E come 10 anni fa, dopo 33 fiducie al cardiopalma ha di nuovo sballato il conto. Ha preso il Paese in mano con un’economia in rilancio, lo restituisce con una crescita piatta, per le tasse da rapina che ha imposto. Ha tanto intossicato con l’idea che l’unico vinavil del centrosinistra sia l’antiberlusconismo invece che le cose da fare, che alla fine, come 10 anni fa, lascia macerie fumanti prima nel suo campo politico, che nel centrodestra. Ha giocato fino alla fine la carta del leader eternamente “nuovo” e senza partito, animando invece una sempre più torva opposizione persino all’unica cosa nuova nata davvero nel centrosinistra, il Partito Democratico di cui è leader Veltroni. Ha tentato di restare in sella con metodi rispetto ai quali la politica clanica di Mastella sembra l’Atene di Pericle: vedi la vergognosa compravendita del senatore Cusumano. Il suo governo è riuscito persino a chiudere le porte della Sapienza in faccia al Papa, e, se ieri Andreotti è mancato al voto di fiducia, non è casuale.
Finché derideva il Cavaliere, passi. Era l’unico modo per Prodi di assecondare l’antiberlusconismo a cui deve tutte le sue fortune. Ma infine Prodi cade perché ha deluso e spaccato Rifondazione. Perché considera Veltroni il peggior nemico. Perché rimprovera D’Alema di non averlo stoppato. Perché Dini e Mastella se li è persi, a furia di considerarli utili idioti. Perché, da Nerone, ha preferito assistere all’incendio della sua alleanza che egli stesso ha alimentato, invece di ragionare e rassegnare il mandato prima della sterile, ultima, disperata conta che lo priva di un futuro politico, e lascia il centrosinistra nello Stige. Il lascito di Prodi è tremendo. Per effetto della sua tenace volontà di crepare a testate, una convergenza bipartisan per la riforma elettorale è cento volte più difficile. Con la Camera falsata da una maggioranza di sinistra costruita solo grazie a un premio elettorale a cui l’Unione senza Udeur non ha più diritto, non so ipotizzare governi di convergenza a tempo per le riforme. Al voto, dunque. Alle urne. Per cancellare il fantasma reggiano che da ieri dondola al cappio della sua protervia. Ora e sempre.
OSCAR GIANNINO SULLA CADUTA DI PRODI
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